Questa trattazione riguarda la considerazione che i discepoli di Yeshùa avevano della Scrittura. Il periodo considerato va fino al 3° secolo della nostra èra. È vero che dopo 1° secolo – ovvero nel 2° – l’apostasia si faceva già sentire e che nel 3° secolo non si poteva più parlare di discepoli di Yeshùa ma di “cristiani” legati a una religione impregnata di paganesimo. Tuttavia, per il nostro soggetto, è utile raccogliere almeno l’eco della devozione da essi mantenuta per la Scrittura.
A imitazione di Yeshùa e degli apostoli, tutti i discepoli di Yeshùa (e poi anche i “cristiani”) sin dai primi tempi attribuirono sempre un’enorme importanza alle Sacre Scritture, come appare dalle citazioni seguenti raggruppate per direttive:
- Onore rivolto ai libri sacri
Molti discepoli meditavano gli scritti sacri e li imparavano a memoria (Eusebio, De Martyri Palest., 13. P G 20, 1515). Il salterio (la raccolta dei Salmi della Bibbia) veniva cantato nelle campagne palestinesi durante i lavori agricoli. I primi discepoli conoscevano così bene la Scrittura che la nuova traduzione di Girolamo (Vulgata latina) non fu accolta nella chiesa perché troppo diversa dalla traduzione già nota. Altri, mossi da una devozione ingenua, applicavano la Bibbia sulle parti ammalate nella speranza di ottenere la guarigione (Agostino, in Joan . 7, 12 P L 35, 1443). Anche se si tratta di superstizione, questo conferma tuttavia l’importanza attribuita agli scritti sacri. I discepoli erano disposti a subire il martirio anziché consegnare i libri sacri, come aveva prescritto l’imperatore Diocleziano (Editto De tradendis codicibus del 303). Coloro che per viltà li consegnavano venivano chiamati “traditori” (dal latino tradere, “consegnare”). Ciò appare in molte passioni di martiri, come ad esempio, da quella di Euplio che, condotto davanti al giudice Calvisiano, si sente domandare:
– Tu li hai portati qui?
– Sì, li ho portati io – rispose Euplio – come tu vedi. Mi hanno trovato con essi.
E Calvisiano:
– Leggili!
Ed Euplio aprendo il libro lesse
– “Beati quelli che sono perseguitati …”
Come ebbe letto questi ed altri passi, Calvisiano disse:
– Che cos’è questo?
– La legge del mio Signore – rispose Euplio – che mi fu consegnata.
E Calvisiano:
– Da chi ti fu consegnata?
– Da Gesù Cristo, figlio di Dio vivo – rispose Euplio.
Calvisiano disse:
– Perché hai conservato senza consegnarli questi libri che sono proibiti dagli imperatori?
– È perché sono cristiano – rispose Euplio – e non mi è lecito consegnarli. Chi li consegna perde la vita eterna ed io per non perderla do la mia vita.
Allora gli fu appeso al collo l’evangelo che aveva quando fu arrestato. Ed egli, dopo aver di nuovo reso grazie, piegò il collo e dal carnefice gli fu mozzata la testa.
Anche la cristiana Irene venne arsa viva per non aver voluto consegnare le Sacre Scritture. – Tutti questi Atti si possono vedere in Ruinet, Acta Martyrum, Verona I; Acta S. Agapes, Vhioniae, Irenes.
- Uso liturgico
I libri delle Scritture Ebraiche e Greche venivano letti durante il culto liturgico (come già facevano gli ebrei) nel 2° secolo. Giustino ci attesta che “nel giorno chiamato del Sole ci raccogliamo in uno stesso luogo, dalla città e dalla campagna, e si fa lettura della memoria degli apostoli e degli scritti dei profeti sino a quando il tempo lo permette”. – Giustino, I Apologia 58.
- Loro valore superiore ai libri pagani
L’apologeta Giustino con grande candore affermava che tutto quanto di buono è stato detto dai filosofi pagani fu copiato dalla Bibbia che è più antica. Così Platone – secondo lui – attinse da Mosè la dottrina della creazione: “Non noi dunque insegniamo dottrine identiche agli altri, ma gli altri copiandoci, ripetono le nostre. Da noi tutto ciò può essere ascoltato e appreso anche da quelli che non conoscono nemmeno l’alfabeto, da persone ignoranti e barbare di linguaggio, ma sapienti e fidate di mente, tra i quali ve ne sono persino alcuni privi di vista. Dal che potete capire come tali libri non siano frutto di umano sapere, bensì di potenza divina”. – Giustino, I Apologia 59-60; la citazione è tratta dal cap. 60; cfr. S. Giustino, Le apologie, Città Nuova, Roma, pag 119.
- I libri biblici sono normativi (canonici)
Verso il 150 E. V. sorse a Roma il primo canone delle Sacre Scritture, conservato nel celebre Frammento Muratoriano (così detto perché scoperto dal Muratori in un manoscritto del 7°-8° secolo).
Secondo le testimonianze patristiche vi furono inclusi i libri sacri riconosciuti come tali dalla chiesa. Per assicurare la trasmissione perfetta di questo libro sacro, Origène (morto nel 254) compose gli Exapla o edizioni della Bibbia (Scritture Ebraiche) in sei colonne con il testo ebraico, la trascrizione greca, la versione alessandrina dei LXX, e quelle di Aquila, di Simmaco e di Teodozione con vari segni (obeli metobeli) per indicare ciò che vi era in ebraico o si trovava aggiunto o variato nei LXX. Ireneo afferma che solo la chiesa possiede la Scrittura, non gli eretici, perché essa l’ha ricevuta dalla tradizione apostolica. – Ireneo, Adversus Haereses, 1,20,1,2;3,3,1;3,4,1; 3,11,9;4,33,8.
Clemente Alessandrino rifiuta gli apocrifi perché non sono accolti dalla tradizione. – Clemente Alessandrino, Stromata 3,13.
Per Tertulliano le Sacre Scritture sono patrimonio della chiesa. I veri Vangeli sono quelli trasmessi dagli apostoli. – Tertulliano, De Praescriptione 15-19;32,36; Adversus Marcum 4,2,6.
Secondo Agostino l’autorità della chiesa è norma per la scelta dei libri ispirati: “Non crederei al Vangelo se non mi spingesse a ciò l’autorità della chiesa” (Agostino, Contra Epist. Manich. 5,6). Qui, in Agostino, l’autorità della chiesa può essere intesa in un duplice modo: in senso dogmatico, come decisione del magistero, guidata dallo spirito santo, o in senso storico. Probabilmente qui va intesa in senso storico: in un momento in cui era ancora possibile risalire agli apostoli e conoscere quali libri fossero stati davvero composti da loro (tradizione storica), le varie chiese hanno voluto presentare la lista degli scritti veramente apostolici e quindi normativi (canonici). Solo in tal modo si spiegano i dubbi esistenti sulla canonicità di qualche libro: in oriente, ad esempio, si dubitò a lungo dell’Apocalisse che si pensava fosse stata scritta da un Giovanni presbitero, omonimo ma distinto dall’apostolo; in occidente della Lettera agli ebrei che molti non ritenevano paolina. Solo con la scomparsa di tali dubbi si ammise la canonicità di questi due scritti. È quanto risulta chiaramente dal Canone Muratoriano (del 73-78 E. V.) dove si legge che il libro di Erma – scritto recentemente (nuperrime) – va escluso dalla lettura pubblica “perché non è tra i libri profetici né tra i libri apostolici”. Segno quindi che si ammetteva come criterio di canonicità che un libro fosse stato scritto da un profeta (per le Scritture Ebraiche) o da un apostolo (per le Scritture Greche).
Bibliografia: Il primo a suggerire il criterio dell’apostolicità fu il protestante David Michaelis (Einleitung in die göttlichen schriften des N.T., Göttinga, pag. 1788). Tale norma fu accolta anche da parecchi cattolici: Ubaldi (Introductio in S. Scripturam, 3 1886 R, pag. 76 e sgg.; Joün, Le critérium de l’Ispiration pour les livres du N.T., in “Etudes” 98, 1904, pag. 84 e sgg.; M.J. Lagrange, Histoire de Canon du N.T., Paris, 1933; Zarb, De Criterio inspirationis et canonicitatis SS. librorum, in “Divus Thomas”, 34, 1931, pagg. 147-186. Ne è invece contrario I. Vostè – De divina inspiratione et veritate, S. Scripturae, Roma, 1932, pagg. 23-28.
I cosiddetti padri della chiesa hanno accolto il Vangelo di Marco (che pur non era un apostolo) perché conservava la predicazione di Pietro. – Clemente Alessandrino in Eusebio, Hist. Eccl. 6,14,5-8 (E P 439) 2,15, 1s; Papia in Eusebio, Hist. Eccl. 3,39,15 (E P 94); Ireneo, Adversus Haereses 3,1,1 P G 7, 844; Origene, Fragen in Matthaeum in Eusebio, Hist. Eccl. 6,25 E P 503.
Luca fu ammesso perché lodato da Paolo e perché si pensava che riferisse la predicazione paolina con la quale ebbe molti contatti. Paolo, infatti, loda Luca: “Vi saluta Luca, il caro medico” (Col 4:14). E Luca ha lo stesso modo di pensare di Paolo; Luca riporta: “Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno del suo salario. Non passate di casa in casa” (Lc 10:7); e Paolo ribadisce: “La Scrittura dice: «Non mettere la museruola al bue che trebbia»; e: «L’operaio è degno del suo salario» (1Tm 5:18); e tutti e due sono in armonia con la Scrittura: “Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano”. – Dt 25:4.
Quali motivi spinsero i vescovi del 2° secolo a fissare il canone degli scritti sacri? Essi vollero anzitutto determinare, in mezzo al pullulare di molti scritti apocrifi, quali libri fossero davvero apostolici e quindi avessero valore normativo, contro tutte quelle opere che, sotto lo pseudonimo di un apostolo, pretendevano di avvalorare le loro dottrine erronee (gnostiche, manichee, ebionite, giacobite). Essi intendevano pure opporsi all’armatore del Ponto, Marcione, che arbitrariamente aveva fornito un primo elenco di scritti sacri comprendente solo dieci lettere paoline e il Vangelo di Luca, escludendo gli altri libri delle Scritture Greche e tutte le Scritture Ebraiche. In tal modo i vescovi, ristudiando quali scritti fossero veramente trasmessi come apostolici e come profetici dai loro predecessori, determinarono il canone genuino che accoglieva, oltre alla parte ebraica della Bibbia, anche tutti gli scritti di origine apostolica.
- Dai libri canonici si deve trarre l’insegnamento
Interi sermoni di antichi vescovi si riducevano semplicemente a commentare spiritualmente la Bibbia (Tertulliano, De Praescriptione 14,11;15,2), spesso soffermandosi su particolari per noi insignificanti come: “Ho lasciato un mantello a Triade”; “Bevi un po’ di vino per lo stomaco”; “Salutate Prisca e Aquila”. In generale anche gli eretici vi ricorrevano a sostegno delle profezie, senza affatto mettere in dubbio il valore della Bibbia. I credenti poi erano sicuri di trovarvi la salvezza: “Fratelli e sorelle, abbiamo ascoltato l’Iddio della verità e ora vi leggo la mia esortazione a rivolgere la vostra mente a ciò che sta scritto, affinché salviate voi stessi e chiunque legge tra voi” (Clemente Romano, 2 Corinzi 19,1). Clemente Alessandrino trova nelle Sacre Scritture una sorgente di santità: “Le Sacre Scritture e le sagge istituzioni ci conducono rapidamente alla salvezza” (Clemente Alessandrino, Protr. 8 PG 8, 188 GCS 59); “Sacre veramente queste lettere che rendono santi, anzi divini”. – Ibidem, 9 PG 8, 197, GCS 65.
Lo stesso pensiero riappare in Cirillo di Alessandria: “Diciamo che le fonti della salvezza sono i santi profeti, gli evangelisti e gli apostoli, che con l’assistenza dello Spirito Santo somministrano al mondo la parola superna, celestiale, salvatrice”. – Cirillo di Alessandria, De recta fide 2, 1 PG 76, 1337.
Efrem Cantava: “Dal campo proviene la gloria della messe, dalla vigna il frutto che nutre, dalla Scrittura la dottrina che dà vita”. – Efrem, Opera, Roma 1743, 41.
Secondo Ambrogio “si beve la Scrittura divina, si divora la Scrittura divina, quando il succo della parola eterna cala nelle vene dell’anima e nelle potenze interiori”. – Ambrogio, in Ps 1, 33 PL 14, 984.
Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli, presenta una lunga serie di passi che esaltano l’importanza della Sacra Scrittura per la nostra salvezza: “L’anima suole corrompersi e salvarsi per mezzo di parole. Queste infatti la spronano all’ira e di nuovo la ammansiscono; una turpe parola la infiamma alla passione, un discorso pieno di saggezza la guida alla temperanza. Se dunque la semplice parola ha tale potere, perché disprezzi la Scrittura? Se tanto può la comune esortazione, quanto più potrà un’esortazione ispirata? Infatti, il discorso che risuona nelle divine Scritture piega l’anima indurita, più del fuoco, e la prepara per ogni opera buona” (Crisostomo, in Mt 1, hom 2, 6 PG 57, 31). In un intero sermone su Lazzaro, lo stesso vescovo con calde eloquenti parole esalta l’importanza salvifica della Sacra Scrittura e confuta le obiezioni di coloro che si scusano di non poterla leggere:
“È impossibile che siate così ignoranti di ogni cosa (per capire le Scritture). Fu proprio per questa ragione che la grazia dello Spirito Santo volle che fossero pubblicani e pescatori, fabbricanti di tende e pastori, ignoranti e illetterati a comporre questi libri, di modo che nessuno potesse ricorrere alla scusa della difficoltà. Egli volle che tali scritti fossero comprensibili a tutti, volle che anche il meccanico e lo schiavo e la vedova e l’uomo più ignorante di questo mondo potessero tutti ricevere profitto e beneficio da quanto odono: E non fu per vanagloria, come i pagani, ma per la salvezza degli ascoltatori che questi autori furono beneficati della grazia dello Spirito perché componessero questi scritti. Perché i filosofi pagani, non cercando il benessere comune, ma la propria gloria, se dissero mai qualcosa di utile, la dissero in forma oscura (come d’altronde essi erano oscurati).
Gli apostoli e i profeti, invece, fecero proprio l’opposto. Infatti, ciò che da essi procedeva, lo esposero in forma piana e semplice a tutti, quasi maestri delle classi elementari, in modo che ogni persona potesse, anche da sola, mediante la semplice lettura, apprendere il senso di quanto essi dicevano. E chi è colui che non possa chiaramente comprendere il contenuto dei vangeli? Chi, udendo: ‘Beati i mansueti, Beati i puri di cuore’, ha bisogno del maestro per capire uno qualunque di questi detti? E quanto alla narrazione dei miracoli, delle opere potenti e dei fatti storici, non sono forse tutti chiari e intelligibili da chiunque? Il vostro è solo un pretesto, una scusa e un paravento alla vostra pigrizia. Voi dite di non capire il contenuto; e quando mai sarete in grado di capirlo se non lo studiate? Prendete il libro in mano, leggete l’intera storia e, quando vi sarete assicurata la conoscenza di ciò che è semplice, passate a ciò che è oscuro e duro, ma più e più volte. E se voi non potete afferrare il senso di una lettura costante, rivolgetevi ad un maestro, notificategli le vostre difficoltà, fategli vedere un grande interesse per la comprensione; quando Dio vi vedrà così ansiosi, non deluderà la vostra diligenza e il vostro zelo e, anche se nessun uomo volesse insegnarvi quello che cercate, sarà certo Lui a rivelarvelo. Ricordate dell’eunuco della regina etiope, il quale, sebbene barbaro di nascita e oberato di molti pensieri, anche se circondato da realtà che richiamavano la sua incessante attenzione, leggeva sul suo carro. Ed era per di più incapace di capire ciò che stava leggendo. Se egli dimostrò tanta intelligenza durante il viaggio, potete figurarvi cosa fosse solito fare quando se ne restava a casa. Se non permetteva che il tempo del viaggio passasse senza che egli leggesse, quanto maggiormente egli doveva attendervi quando si trovava seduto in casa? Se non sospendeva la lettura neppure quando nulla capiva, non avrebbe avuto ragione di farlo quando capiva? Infatti, a comprovare che egli non capiva il brano che stava leggendo, sentite cosa egli disse a Filippo: «Comprendi tu le cose che leggi?». Egli udendo ciò non arrossì, né si sentì imbarazzato, ma riconobbe la propria ignoranza, dicendo: «Come lo potrei se nessuno mi guida?». Se allora rimaneva occupato nella lettura quando non aveva chi lo guidasse, era meritevole che Dio gli facesse incontrare un maestro. Ma ora qui non abbiamo alcun Filippo.
Lo Spirito che guidava Filippo è però qui. Amatissimi, non scherziamo con la salvezza! Tutte queste cose furono scritte per ammonizione di noi che siamo agli ultimi tempi. Grande sicurezza vi è contro il peccato se si legge la Scrittura. Grande è il precipizio e profondo l’abisso che si apre dinanzi a chi ignora le Scritture. Ignorare le leggi divine è un deviare dalla propria salvezza. È questa ignoranza che ha causato eresie, che ha spinto al libertinaggio, ha capovolto ogni cosa, perché è impossibile non trarne profitto se costantemente ci si dedica ad una intelligente lettura delle cose divine. C’è un’altra scusa usata da persone di simile indolente disposizione mentale, completamente infondata, e cioè che essi non hanno una Bibbia. Ora, per quanto concerne il ricco, sarebbe completamente ridicolo spendere parole intorno a tale pretesto. Siccome credo che molti fratelli poveri sono abituati a servirsene, vorrei porre loro una domanda: Non ha ognuno di essi acquistato una perfetta attrezzatura per i suoi mestieri? Anche se la fame li affligge e la povertà li tortura, preferiranno sopportare ogni sacrificio piuttosto che separarsi da uno qualunque dei loro ferri e vendendoli vivere con il ricavato. Molti hanno preferito ricorrere a prestiti per sfamare le loro famiglie anziché privarsi del più piccolo utensile. E tutto ciò è naturale poiché essi sanno che privandosi di essi, si priverebbero di ogni mezzo per vivere.
Ora, proprio come i ferri del mestiere sono il martello e l’incudine o le tenaglie, i ferri della nostra professione sono esattamente i libri degli apostoli e dei profeti e tutte le Scritture composte per divina ispirazione e veramente profittevoli. Come con i loro attrezzi essi modellano qualunque vaso hanno in mano, così noi con i nostri lavoriamo per le nostre anime, correggendo ciò che è guasto e riparando ciò che è logoro. Non è dunque una vergogna se voi, quando si tratta dei ferri di questo mondo, non adducete nessuna scusa di povertà e vi prodigate perché nulla abbia a privarvene in questa vita, mentre non fate la stessa cosa per gli altri strumenti coi quali si possono raccogliere benefici ineffabili?
In ogni modo, il più povero di voi non resterà ignorante del contenuto delle Scritture se attenderà alla costante lettura di esse che qui viene svolta. E non dite che è impossibile; e se lo è, vi dirò io il perché, è perché molti di voi non attendono alla lettura che qui viene fatta . . . voi venite per formalismo e poi ve ne correte a casa, e quelli che rimangono tra noi presenti solo fisicamente, sono assenti nello spirito”. – Crisostomo, De Lazaro Concio PG.
- Lo Spirito Santo è l’autore delle Scritture
Per i padri della chiesa la Sacra Scrittura aveva tanto valore spirituale perché con essa parla Dio che ne è l’autore. Può essere interessante, ma anche utile, per noi sentire il loro parere in questa materia:
Clemente Romano (1° secolo). “Voi avete guardato attentamente le Scritture che sono vere e sono state date per mezzo dello Spirito Santo. Voi sapete che nulla vi si trova d’ingiusto o di malvagio”. – Clemente, 1 Ad Corinth. 45,2.
Giustino (2° secolo). “Non le dicevano [queste parole] delle persone ispirate, bensì lo stesso Verbo divino che le muoveva”. – Giustino, 1 Apologia 36 PG 6, 385.
Origène (2° secolo). “Colui che narra le cose da noi lette non è un fanciullo, né un uomo pari a noi, ma, come ritiene la tradizione dei nostri avi, è lo Spirito Santo che le racconta. Consta infatti che esse furono pronunciate dallo Spirito Santo (ea per Spiritum Sanctum dicta) ed è quindi conveniente che si debbano stimare secondo la dignità, anzi secondo la maestà di chi parla”. – Origène, in Num. Hom 26,3 PG 12,774.
Teofilo d’Antiochia (2° secolo). “Mosè . . . o meglio la Parola di Dio si esprimeva per mezzo suo”. – Teofilo Antiocheno, Contra Antholicum 9 PG 6, 1065.
Clemente Alessandrino (2°-3° secolo). “Il Signore in persona parla per mezzo di Isaia, di Elia, per bocca dei suoi profeti”. – Clemente Alessandrino, Adhortatio pag. 1 PG 8,64.
Cirillo di Gerusalemme (4° secolo). “Chi altri conosce le profondità di Dio se non lo Spirito Santo, che pronunciò le divine Scritture? . . . Perché vai rimuginando ciò che nemmeno lo Spirito Santo scrisse nelle Scritture? Lo Spirito in persona pronunciò le Scritture . . . Ripetiamo quindi quanto egli disse, ma quanto non disse non azzardiamoci ad affermarlo”. Cirillo di Gerusalemme, Catech. 16 PG 33, 920.
Giovanni Crisostomo (4° secolo) rimprovera i credenti grossolani che saltano le parole, le cifre e i cataloghi delle Sacre Scritture quasi fossero privi d’importanza. Non vi è nulla d’insignificante nella Sacra Scrittura. “Ci sono quelli che quando incontrano delle liste di nomi subito passano oltre e a chi li riprende rispondono: «Sono soltanto nomi . . . Non hanno alcuna importanza». Ma che dici? Dio parla e tu osi dire: «Non hanno importanza?». Non tralasciare alcuna espressione per quanto breve, neppure una sillaba di quanto si legge nella Scrittura divina. Perché non sono semplicemente delle parole, bensì sono parole dello Spirito Santo e perciò anche in una sillaba si può scoprire un immenso tesoro”. – Crisostomo, in Ge. hom. 15, 1 PG.
Anche i concili ecclesiastici non fecero altro che sancire la medesima dottrina: “Dio è autore dei libri dei due Testamenti” (Concilio di Cartagine 4°; cfr. Ench. Bibl. 8,27), ripetuti anche in seguito nel Concilio di Lione nel simbolo proposto ai greci: “Uno solo è l’autore del Nuovo e dell’Antico Testamento cioè della Legge, dei profeti e degli apostoli e questi non è altro che il Signore onnipotente”. – Cfr. S. Muñoz Iglesias, Doctrina Pointificia I, Documentos Biblicos, Madrid 1955, pagg. 1-13 e pagg. 153-165, dall’originale latino o greco con traduzione in spagnolo e una breve introduzione per ogni documento.
- Le Sacre Scritture non contengono errori
Se nella Bibbia è lo spirito santo di Dio che parla, ne segue che esso non ci può ingannare; perciò le Scritture sono prive di errori. Nella Bibbia non vi può essere contraddizione alcuna. Così affermava nel 2° secolo l’apologeta Giustino (morto nel 165): “Io non ho affatto l’audacia di pensare o di dire che le Scritture sante si contraddicono tra loro: se si adduce qualche testo che in apparenza sembra sostenere il contrario, io sono convinto e completamente persuaso che nessun passo della Scrittura può essere in contrasto con un altro. Penserei piuttosto di non sapere comprendere ciò che sta scritto e cercherei di far accettare la mia convinzione a coloro che vi sospettano una contraddizione”. – Giustino, Contra Tryph. 65 PG 6,625.
Ireneo (morto nel 202 circa). “Le Sacre Scritture sono perfette, perché pronunciate dal Verbo di Dio e dal Suo Spirito. Esse concordano tra loro armonicamente”. – Ireneo, Adversus Haereses 2, 28 2 e 3 PG 7,805.
Secondo Ippolito (morto dopo il 235) “la Sacra Scrittura non ci inganna mai” (in Dn 1,28, edizioni Bonwetsch, pag. 41), perché “lo Spirito Santo non può ingannare i profeti che sono i suoi servitori” (Ibidem 4,6 pag. 198). Essa quindi non può venire corretta, per cui contro gli eretici, che vorrebbero modificarla, Ippolito così affermava: “O non credono che le Sacre Scritture siano state pronunciate dallo Spirito Santo e in tal caso sono increduli; o si stimano più saggi dello Spirito Santo, e in tal caso non sono che degli invasati dal demone”. – Ippolito, Contra Artemone [è suo?] presso Eusebio, Historia Eccl. 5,28 18 PG 20,517.
Per Origène (3° secolo) è impossibile che vi siano errori nella Sacra Scrittura (Origène, in Mat 16,12 PG 13,1410), poiché la Sapienza di Dio vi è diffusa dovunque anche nelle più piccole lettere (Origène, in Ps 1,4 PG 12,1081).
Perciò nella Scrittura “nulla vi è di superfluo” (Origène, in Jeremiam 39 PG 13,544). “Quando vedrai che qualcuno, mosso dai propri ragionamenti, oserà contraddire la divina Scrittura, trattalo come un pazzo”. – Origène, in Ge 1, hom. 10,6.
Gregorio Nazianzieno (4° secolo). “Noi scopriamo l’accuratezza dello Spirito Santo anche da ciascun accento e da ciascuna lettera”. – Gregorio Nazianzieno, Orat. Apol. 2,104 PG 25,503; cfr. Gregorio Nisseno, Contra Eunomium 7 PG 45,742.
Eusebio di Cesarea (morto nel 340) non vuole nemmeno che si cambi in Achis il nome errato di Abimelec, perché, scrive: “Io reputo audacia temeraria quella di voler imputare un errore alla Sacra Scrittura” (Eusebio di Cesarea, in Ps 33,1 – ebr. Sl. 34,1 – PG 23,289). I passi in questione sono i seguenti:
Come si vede, si tratta di “Achis”. Eusebio allude ad una discordanza con Sl 34:1. Ma qui Eusebio dimentica che i trascrittori possono errare e che i titoli dei salmi non sono ispirati in quanto aggiunti tardivamente. Infatti, CEI ha:
Si tratta però del titolo del salmo, aggiunto più tardi da un trascrittore, quindi non originale. Infatti, ad esempio, TNM non lo ha:
* L’apparente discrepanza tra CEI che numera il Salmo col n. 33 e TNM che lo numera col n. 34 è dovuto al fatto che la numerazione dei 150 salmi che compongono il libro di Salmi è diversa nei manoscritti. Sebbene l’ordine e la successione siano identici per tutti, la numerazione cambia. I Salmi 9 e 10 come pure il 114 e 115 del Testo Masoretico sono uniti in uno solo nella LXX greca e nella Volgata, mentre vengono spartiti in due i Salmi 116 e 147 del Testo Masoretico. Ecco la tabella comparativa:
Il corpo dirigente dei Testimoni di Geova pare accettare i titoli dei Salmi come ispirati: “Evidentemente il nome Abimelec che compare nella soprascritta del Salmo 34 va considerato come un titolo riferito al re Achis” (Perspicacia nello Studio delle Scritture, Vol. 2, pag. 857). Pare qui che si faccia lo stesso errore di Eusebio di Cesarea, ma con un’aggravante. Eusebio – ignorando che le soprascritte dei Salmi erano un’aggiunta posteriore – le riteneva parti del testo e, pur vedendo una discrepanza tra testo biblico e soprascritta (aggiunta), non osò toccarla. Gli editori statunitensi vanno oltre e pretendono di dare perfino una spiegazione: sostengono che il nome errato di Abimelec “va considerato come un titolo riferito al re Achis” (Ibidem). Ma non sarebbe alquanto strano che un nome proprio di qualcuno diventi un titolo per qualcun altro? Strana, poi, la loro numerazione dei versetti: se la soprascritta è parte del testo, come mai è messa al versetto 1?
Va ricordato che la suddivisione della Bibbia in capitoli e versetti non fu fatta dagli scrittori originali. La suddivisione avvenne secoli dopo. I masoreti, eruditi ebrei, divisero le Scritture Ebraiche in versetti. Quindi nel 13° secolo E. V. si aggiunsero le divisioni in capitoli. La suddivisione della Bibbia in capitoli e versetti (1.189 capitoli e oltre 31.000 versetti) non è opera degli scrittori originari, ma è un’aggiunta (certo molto utile) fatta secoli dopo. La prima Bibbia completa con l’attuale divisione in capitoli e versetti fu la Bibbia in francese pubblicata da Robert Estienne nel 1553.
Per il vescovo di Costantinopoli, Crisostomo (morto nel 407), la Scrittura non può contenere alcuna menzogna: “Nessuno osi dire che la storia biblica sia menzognera”. – Crisostomo, in Act. Apost. hom. 22,1 PG 60,171.
Girolamo (morto nel 420) amava la Scrittura e vi consacrò tutta la vita traducendola in latino, la lingua del suo tempo, perché fosse più comprensibile al popolo. A chi lo accusava di correggere i Vangeli diceva: “Non sono tanto stupido da ritenere degne di correzione le parole del Signore, ovvero che qualcosa non sia divinamente ispirata, ma ho voluto solo ricondurre i codici latini (corretti) agli originali greci dai quali sono stati tradotti” (Girolamo, Ad Marcellam ep. 27,1). “Non è lecito affermare che la Scrittura contenga una menzogna” (Girolamo, in Neh. 1,9 PL 25,1238). Siccome Dio fu il suo ispiratore, ne deriva che “quanto leggiamo nell’Antico Testamento lo ritroviamo anche nel Nuovo, senza che vi sia alcuna discordanza o diversità” (Ep. 15, 7). “Nelle Scritture divine tutte le parole, le sillabe, gli accenti, i punti sono densi di significato” (Girolamo, In Ephes. 5,6 PL 26,481). “Anche la lettera a Filemone non ha nulla di banale, ma presenta delle magnifiche lezioni familiari”. – Girolamo, in Philem Prol. 26, 602.
Agostino (morto nel 430). Per il vescovo di Ippona, che tanto esalta la Scrittura sopra le stesse decisioni conciliari, gli scritti sacri non possono contenere alcun errore: “Non vi può essere alcuna falsità nei Vangeli, non solo dovuta a menzogna, ma nemmeno a dimenticanza” (Agostino, De Consensu evangelistarum 2,12,29 PL 34, 1091). “Non è facile dire: l’autore di questo libro non è veritiero, bisogna [in caso di apparente errore] ripetere che il codice è errato, o che sbagliò, l’interprete o che tu non capisci” (Agostino, Contra Faustum 11,5 PL 42,249). “Ti confesso [scrive a Girolamo] che . . . ai libri della Scrittura ho imparato a tributare una riverenza e un rispetto tale da credere fermissimamente che nessuno dei loro autori abbia errato, qualunque cosa abbia scritto. Qualora m’imbattessi in qualcosa che sembra contrario alla verità, non avrei il minimo dubbio a dire che ciò dipende o dal codice difettoso o dal traduttore che ha interpretato male ciò che fu scritto, o che la mia mente non è arrivata a capire, anziché ammettere che la parola di Dio erri”. – Agostino, Ep. 82 1-3 PL 33, 277.
Loisy confessa chiaramente: “Se partiamo dai dati della tradizione, non v’è posto per alcun errore nella Bibbia”. – Loisy, Etudes Bibliques, Paris 1903, pag 145.
Analogie esplicative. È noto che le analogie precedono la riflessione filosofica e teologica. Anche i cosiddetti “padri”, prima di accingersi a chiarire il concetto d’ispirazione, hanno descritto tale fenomeno mediante analogie e paragoni.
- I profeti furono strumenti di Dio nel parlare. Lo strumento è variamente presentato come appare dai seguenti paragoni:
- Corde di una lira. Il profeta “toccato” dallo spirito santo emana la “dolcezza di un suono celestiale”. Giustino (fine 2° secolo): “Questi santi uomini non avevano bisogno di parole artificiose, né dovevano parlare con ardore polemico; bastava loro offrirsi sinceramente all’azione dello Spirito Santo, perché quel divino plettro, calato dal cielo, servendosi di uomini come di strumenti musicali, di una cetra o di una lira, ci rivelasse le realtà celesti e divine” (Giustino, Adhortatio ad Graeces 8 PG 6,256 – Schöckel pag. 49 n. 33; cfr. 36 PG 6, 553). Atenagora (2° secolo): “Nostri testimoni sono i profeti che parlarono per virtù dello Spirito Santo . . . Lo Spirito Santo muoveva la bocca dei profeti come uno strumento [organo] . . . Lo Spirito Santo si servì di essi come un artista che suona il flauto” (Atenagora, Legatio pro Christianis 79 PG 6,906.908). Ippolito (2°-3° secolo): “I profeti, preparati dallo spirito profetico, avevano il Verbo come plettro ed essi erano gli strumenti [orgànôn dìken]; in tal modo sollecitati annunciavano ciò che Dio voleva”. – Ippolito, De Christo et Antichristo 2 PG 10,728s – Schöckel pag. 50.
- Organo corporale. Gli autori ispirati sono la lingua e la bocca di Dio. Girolamo, commentando l’espressione di Sl 44:2 (“La mia lingua è stilo di scriba veloce”; in TNM corrisponde a 45:1, “Sia la mia lingua lo stilo di un esperto copista”), così afferma: “Io debbo preparare la mia lingua come uno stilo o una penna perché con essa lo Spirito Santo scriva nel cuore e negli orecchi degli uditori. A me aspetta offrire la lingua come strumento, a Lui far risuonare la sua dottrina come se io fossi uno strumento [quasi organum sonare]. Se la legge fu scritta dal dito di Dio, con la mano di un mediatore, quanto maggiormente il Vangelo sarà scritto con la mia lingua dallo Spirito Santo”. – Girolamo, in Ps 45,2 PL 22,627 – Schöckel 50s.
Da qui potrebbe risultare che Mosè fu il dito di Dio per scrivere la Toràh: “Le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio” (Es 31:18); altrove appare l’intercessione angelica: “Avete ricevuto la legge per mano degli angeli” (At 7:53); “Fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore” (Gal 3:19); “La parola trasmessa per mezzo degli angeli” (Eb 2:2). In un altro passo ripete: “Sono parole del Signore e non degli scrittori; ciò che dice per bocca loro, il Signore le ha pronunciate come attraverso un organo o uno strumento”. – Girolamo, Tract. de Ps 88 in Anecdota Maredsolana III 3 pag. 53.
- Penna divina. Questa raffigurazione, meno suggestiva, non è tanto usata dai padri ecclesiastici. Vi ricorre tuttavia Gregorio Magno (6° secolo): “È superfluo domandarsi chi sia la persona che ha scritto queste cose. Se si crede con fede che lo Spirito Santo è autore del libro, egli ha scritto queste cose, che dettò perché fossero scritte. Supponiamo di ricevere e leggere la lettera di un personaggio importante, sarebbe certamente ridicolo che, conoscendo l’autore e il senso, ci ostinassimo a indagare con quale penna sono state vergate le parole. Quando conosciamo l’argomento e siamo convinti che l’autore ne è lo Spirito Santo, se ci preoccupiamo dello scrittore in realtà non facciamo altro che leggere una lettera e intanto informarci della penna che l’ha scritto”. – Gregorio Magno, Praefutio in Job 1 n. 2 PL 75, 517.
- Dettatura divina. Tra i padri latini si trova pure la formula “dictare”. Ecco alcune testimonianze. Girolamo (morto nel 420): “Tutta la lettera ai Romani deve essere interpretata; essa infatti è avvolta da tante oscurità, che per capirle ci occorre la grazia dello Spirito Santo, che dettò [dictavit] tali concetti per mezzo dell’apostolo” (Girolamo, in PL 22,997). Agostino (4°-5° secolo): “Le membra eseguirono quanto conobbero per la dettatura del capo” (Agostino, Membra dictante capite cognoverunt PL 34,1070). Gregorio Magno: “Lo scrisse colui che dettò [dictavit] tali cose” (Gregorio Magno, PL 75,515). Isidoro (6°-7° secolo): “Questi sono gli scrittori dei libri sacri . . . Però noi professiamo che l’autore delle stesse Scritture è lo Spirito Santo. Egli medesimo infatti scrisse quando ne dettò [il contenuto] ai suoi profeti perché scrivessero” (Isidoro, De ecclesiasticis officialis 1,12 PL 83,750). Va però osservato che quando i padri parlano di “dettatura divina”, usano il verbo latino “dictare” nel senso di allora, che era assai più largo del nostro “dettare”, potendo anche semplicemente equivalere a “dire/insegnare/prescrivere” (cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis s. a distare). Ma anche supposto tale valore più largo, si ha sempre la sensazione che questi padri, per esaltare l’influsso divino, abbiano trascurato l’attività dello scrittore umano. L’agiografo (scrittore sacro) non può essere ridotto a un semplice automa, quasi fosse un moderno robot.