Baara (בַּעֲרָא, Baàra, “bestiale”)
“Saaraim ebbe dei figli nella terra di Moab, dopo che ebbe ripudiato le sue mogli Cusim e Baara”. – 1Cron 8:8.
A quanto pare, queste donne dovevano essere moabite, dato che “Saaraim ebbe dei figli nella terra di Moab, dopo che ebbe ripudiato le sue mogli”. La Bibbia non ci dice quello che è successo a queste donne. Esse possono essere state riprese nelle loro famiglie oppure furono semplicemente lasciate. Comunque, Saaraim ebbe figli con Cusim: “Da Cusim ebbe: Abitub ed Elpaal”. – 1Cron 8:11.
TNM fa confusione: “In quanto a Saaraim, egli generò [figli] nel campo di Moab dopo aver mandato via loro. Le sue mogli furono Usim e Baara”. “Mandato via loro” chi? La frase non è neppure in buon italiano; così com’è tradotta sembrerebbe che egli avesse mandato via i figli prima di averli generati! Comunque, le varie traduzioni di questo brano sono basate su congetture, giacché il testo ebraico pone delle difficoltà. La Bibbia Concordata traduce 1Cron 8:8 così: “Generò pure Saaraim nella campagna di Moab, dopo ch’egli ebbe ripudiate le sue mogli Usim e Baara”, ma non si comprende chi sia stato a generare, dato che al v. precedente si parla di tre persone.
Babilonia la grande (Βαβυλὼν ἡ μεγάλη, Babülòn e megàle, “Babilonia la grande”)
“Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra”. – Ap 17:5.
Per capire come interpretare l’identità di “Babilonia la grande”, occorre leggere e analizzare tutto il contesto. Un’analisi approfondita viene fatta nella sezione Esegesi biblica, categoria Scritture Greche, negli studi che trattano il libro biblico di Apocalisse.
Dalla Bibbia sappiamo che il simbolo della prostituzione indica l’idolatria e la mondanità: nella Scrittura una nazione o un insieme di persone (che dovrebbero essere consacrate a Dio) che si accordano con il mondo e si volgono all’adorazione di falsi dèi viene comparata a una prostituta. Ad esempio, per Israele (Is 54:5,6). Per la sua infedeltà (spirituale) a Gerusalemme viene detto che è stata peggio delle puttane: “A tutte le prostitute si fanno regali; ma tu hai dato regali a tutti i tuoi amanti, li hai sedotti con i doni, perché venissero a te, da tutte le parti, per le tue prostituzioni. Con te, nelle tue prostituzioni è avvenuto il contrario delle altre donne; poiché non eri tu la sollecitata; in quanto tu pagavi, invece di essere pagata, facevi il contrario delle altre” (Ez 16:33,34). Sia il Regno di Israele che il Regno di Giuda furono considerate come prostitute. – Ez 23:1-49.
Babilonia la grande venne vista al tempo di Giovanni come Roma, la capitale dell’Impero Romano, ovvero un tipo di cui Roma era l’antìtipo. Anche la maggior parte dei commentatori ritiene che “Babilonia” indichi Roma. “Come Babilonia dei vecchi, Roma guadagnò una reputazione in tutto il mondo per il lusso, la corruzione, e il potere” (Robert H. Mounce, The Book of Revelation, The New International Commentary on the New Testament, pag. 310). Tacito descrive Roma come il luogo “in cui tutte le cose orribili e vergognose del mondo si riuniscono e trovano una casa” (Tacito, Annales, xv 44). Anche gli scritti giudaici del tempo utilizzano Babilonia come un nome simbolico per Roma. C’è una buona ragione per cui è stata fatta una connessione tra i babilonesi e i romani dell’impero. “Roma è chiamata Babilonia, perché le sue forze, come quelle di Babilonia in un momento precedente, hanno distrutto il tempio e Gerusalemme” (Norman Perrin, Gesù e la lingua del Regno, pag. 58). Ma nel simbolo c’è più di Roma.
Babilonia la grande rappresenta un sistema mondiale più universale di quello del vecchio Impero Romano. È illuminante il commento del biblista Robert W. Wall: “Il villaggio globale del potere ateo, che determina la vita quotidiana di ogni persona, in qualsiasi momento nella storia dell’umanità” (Revelation, New International Biblical Commentary, pag. 202). “La città è grande in ogni città e non è una città” (Leon Morris). “L’umanità si è organizzata al di fuori di Dio”. – Rivelazione, edizione riveduta, Tyndale New Testament Commentaries, pag. 203.
Babilonia la grande rappresenta il sistema politico-sociale-economico che l’umanità si è creato. Giovanni, l’autore di Ap, parla del mondo contrapposto a Dio (1Gv 2:15-17). Il sistema mondano raffigurato sotto questo simbolo è un sistema globale che non riflette la natura di Dio che è amore; esso schiavizza l’umanità. Se estendiamo la metafora, Babilonia si può trovare anche là dove gli uomini e le donne usano l’ideologia o il potere politico-economico per favorire i loro propri empi obiettivi in opposizione alle cose di Dio.
Nella Bibbia, l’antica città di Babilonia è rappresentata come una struttura di potere del male che si opponeva a Dio. Tale immagine è riportata nel libro di Ap. L’immagine di Babilonia la grande è senza tempo: può essere vista in tutte le civiltà, e nessun impero umano fino ad oggi è stato la Babilonia simbolica. La sua comparsa finale è però riservata per la chiusura della storia umana. La distruzione di Babilonia la grande si verifica, infatti, alla fine della storia, quando Dio giudica il mondo tramite Yeshùa (Ap 19:11-13). Ap 18 e 19 contiene la storia completa della fine del mondo e del ritorno di Yeshùa.
Questi grandi temi così attuali e universali impediscono di equiparare Babilonia ad una chiesa cristiana, compresa la Chiesa Cattolica, nonostante tutti i suoi orrendi errori ed orrori. Babilonia la grande non ha a che fare con la religione, ma con il suo contrario. Il messaggio di Ap fu inviato a veri discepoli di Yeshùa che vivevano nel primo secolo, quando la Chiesa Cattolica neppure esisteva, e loro devono aver compreso la metafora Babilonia la grande, applicandola sì all’Impero Romano, secondo la letteratura apocalittica del periodo, ma andando oltre. L’Impero Romano faceva parte di Babilonia la grande, ma questa comprende tutto il sistema mondano lontano da Dio.
Balia (אֹמַנְתֹּו, omantò; “balia di lui”)
“Gionatan, figlio di Saul, aveva un figlio storpio, il quale aveva cinque anni quando arrivò da Izreel la notizia della morte di Saul e di Gionatan. La balia lo prese e fuggì; in questa sua fuga precipitosa il bambino cadde e rimase zoppo. Il suo nome era Mefiboset”. – 2Sam 4:4.
La balia di Mefiboset prese in braccio il bambino e si diede alla fuga in preda al panico, per proteggerlo. Potremmo domandarci chi poi protesse il bimbo. La risposta è: Davide. Non solo perché Davide era uomo ‘secondo il cuore di Dio’ (At 13:22), ma a motivo del suo patto con Gionatan, di cui Mefiboser era figlio. – 1Sam 20:12-17,42.
Questa donna evidentemente lo sapeva, e salvò Mefiboset. Se non fosse stato nascosto da lei, il bimbo sarebbe stato un’altra vittima degli intrighi di corte. Questa donna rischiò la vita per salvare il bambino, facendogli anche da balia-infermiera.
Come balia del bambino, probabilmente l’allattò e agì come sua custode dalla nascita.
Bambina – definizione (ebraico: יַּלְדָּה, yaldàh; greco: παιδίον, paidìon, “bambino/bambina”)
Mentre il termine greco παιδίον (paidìon), sostantivo neutro che indica sia un bambino che una bambina, è più specifico, quello ebraico יַּלְדָּה (yaldàh) è più vago. Paidìon indica un neonato, un bambino piccolo e un bambino più grande. Yaldàh indica una fanciulla o ragazzina, ma anche una ragazza, come in Gn 34:4 in cui Camor chiede una yaldàh in moglie (“ragazza”, NR e TNM). D’altra parte, il termine ebraico עֹולֵל (olèl) indica un bambino, come in 1Sam 22:19: “Uomini, donne, bambini, lattanti”, qui separati dei “lattanti” per i quali l’ebraico usa la parola יֹונֵ֑ק (yonèq). Come se non bastasse, il termine ebraico נַּעַר (naàr) indica un ragazzo, come in 1sam 17:42 in cui Golia guardando Davide lo disprezza perché “non era che un ragazzo”, ma indica anche un neonato di tre mesi come Mosè in Es 2:6.
Come si vede, la gamma dei termini è vasta. In ebraico si ha anche טָּף (taf), come in Gn 47:12, tradotto semplicemente con “figlio” da NR e con “piccolo” da TNM; la stessa parola ebraica, in Gn 43:8, diventa “fanciulletto” per TNM e “piccino” per NR. In greco si ha anche τέκνον (tèknon), altro sostantivo neutro che designa un bambino maschio, come in Mt 10:21 in cui viene tradotto con la parola “figlio”. Sempre in greco si ha anche ἄρσην (àrsen) per indicare un maschio, come in Ap 12:13. Sempre in greco, si ha ancora νήπιος (nèpios), come in 1Cor 13:11. Alla fine, è il contesto che aiuta a capire il valore della parola. D’altra parte, in italiano accade la stessa cosa: con “bambina” ci si riferisce sia ad una neonata che a una decenne, e a volte gli adulti chiamano così anche quelle che ormai sono ragazzine o ragazze, provocando il loro disagio e il loro legittimo disappunto.
Sebbene gli ebrei biblici desiderassero particolarmente avere bambini (Sl 127:3-5;128:3-6), la nascita di una bambina era un evento meno felice che quello della nascita di un maschio; ciò era dovuto al fatto che il maschio assicurava la preservazione del nome e dell’eredità paterna. Si consideri, per illustrare, questo passo: “Quando una donna sarà rimasta incinta e partorirà un maschio, sarà impura per sette giorni; sarà impura come nei giorni del suo ciclo mestruale. L’ottavo giorno il bambino sarà circonciso. La donna poi resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà nessuna cosa santa e non entrerà nel santuario finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma, se partorisce una bambina, sarà impura per due settimane come nei giorni del suo ciclo mestruale; e resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue”. – Lv 12:2-5.
La bambina, comunque, godeva delle stesse cure del maschio. Appena nata veniva lavata, frizionata con del sale e fasciata. Ciò le deduciamo da Ez 16:4 in cui Dio parla metaforicamente a Gerusalemme paragonata ad una donna: “Il giorno che nascesti l’ombelico non ti fu tagliato, non fosti lavata con acqua per pulirti, non fosti sfregata con sale, né fosti fasciata”.
Alla bambina veniva dato un nome in base alla situazione del momento, un nome che facesse riferimento alle circostanze della nascita o a quelle che apparivano le caratteristiche della neonata o alla fede dei genitori. Così si spiegano molti nomi, come Bila (=timida) e Bestasea (=figlia dell’abbondanza), Atalia (=Yàh sia esaltato). Ciò era perlomeno avvenuto all’inizio; in seguito i nomi entrarono nella tradizione e non ebbero più rapporto col significato originario.
La Bibbia apre degli scorci su come le madri tenevano i loro bambini: “allattati”, “portati in braccio”, “accarezzati sulle ginocchia” (Is 66:12); stretti al seno (Nm 11:12). Is 49:22 parla di figlie “portate sulle spalle”. Che la madre allattasse personalmente i figli era considerato un dovere, e i rabbini lo ricordavano loro costantemente (Ketubòt, LXIV, 9). L’allattamento durava anche due o tre anni. Ciò può apparire strano oggigiorno, specialmente nella società occidentale in cui molte donne si rifiutano di allattare oltre i sei-nove mesi, eppure (da un punto di vista medico) l’allattamento potrebbe continuare in modo naturale fino ai primi mesi della gravidanza successiva (cfr. Infant Nutrition in the Subtropics and Tropics, Ginevra, 1968, pag. 38). Da 2Maccabei 7:27, testo non biblico ma della cultura ebraica, sappiamo che le donne ebree allattavano per tre anni. Isacco aveva forse cinque anni quando “fu divezzato”. – Gn 21:8.
Le bimbe erano subito curate dalle madri e da loro, crescendo, imparavano i lavori domestici e talune abilità. Fa tenerezza immaginare una pastorella, come doveva essere Rachele già da bambina (Gn 29:6-9). Un po’ meno ne fa immaginare delle bambine che già lavoravano nei campi (Rut 2:5-9). C’erano, comunque, i momenti dei giochi: “Bambini e bambine numerosi che giocano nelle piazze” (Zc 8:5, PdS); “Bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni”. – Mt 11:16.
La formazione spirituale dei bambini era sempre in primo piano. La Toràh prescriveva: “Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6:6,7). “Quand’ero ancora bambino presso mio padre, tenero e unico presso mia madre, egli mi insegnava dicendomi: ‘Il tuo cuore conservi le mie parole; osserva i miei comandamenti e vivrai’” (Pr 4:3,4). Quella che noi chiameremmo “scuola primaria” era per i bambini ebrei strettamente legata alla sinagoga. L’unica materia era praticamente la Toràh. Era su di essa che i bambini imparavano l’alfabeto. La storia, la geografia, la grammatica erano studiati nella Bibbia. “È qui che si trova la scienza migliore e la sorgente della felicità” (Giusepope Flavio, Antichità Giudaiche IV 8-12; Contro Arpione II 25). I rabbini dicevano che bisognava “ingrassare i bambini con la Toràh” (Baba Bathra XXI 9). Le bambine non erano escluse: “Ogni uomo è tenuto ad insegnare la Toràh alla propria figlia” (detto rabbinico dei tempi biblici). La madre di Yeshùa è un esempio di ciò: nel suo Magnificat sono evocate più di trenta reminescenze bibliche (Lc 1:45-55). L’invito a lodare Dio in Sl 148:12,13 è rivolto a “giovani e fanciulle”. Erano “bambini che gridavano nel tempio: ‘Osanna al Figlio di Davide!’”,quelli che acclamavano Yeshùa. – Mt 21:15,16.
In Israele i bambini diventavano presto adulti. Ci si sposava presto in Israele. Sebbene per molti rabbini l’età più conveniente fosse per i ragazzi intorno ai diciotto anni (Kiddushìm XXIX 6), le ragazze potevano sposarsi legalmente a dodici anni e mezzo. Miryàm, la madre di Yeshùa, non doveva avere più di quattordici anni quando divenne madre. Le ragazze, si sa, sono più precoci dei maschi. Era una ragazzina la piccola ebrea che aveva tanta fede in Dio da persuadere Naaman, comandante dell’esercito siro, a farsi guarire la lebbra da un profeta. – 2Re 5:2,3.
L’alta considerazione che Yeshùa ebbe per i bambini è illustrata in Mt 18:1-6: “I discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: ‘Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?’ Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ‘In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me. Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare’”. Con buona pace dei maschilisti, non è detto che il “bambino” “chiamato a sé” da Yeshùa fosse necessariamente maschio: la parola greca usata è παιδίον (paidìon), sostantivo neutro che indica sia un bambino che una bambina. E l’invito a “diventate come i bambini” è nel testo biblico ὡς τὰ παιδία (os sta paidìa), come bambini sia maschi che femmine.
Tuttavia, non siamo incoraggiati a rimanere bambini nelle attitudini di ragionamento e di intendimento: “Non siate bambini quanto al ragionare; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al ragionare, siate uomini compiuti” (1Cor 14:20). Per meglio dire, stando al vero testo biblico e non ad una traduzione: “Non siate bambini e bambine [παιδία (paidìa), bambini maschi e femmine] nei giudizi, ma nella malizia siate bambini e bambine, nei giudizi invece siate persone adulte [τέλειοι (tèleioi)]”.
Bambina guarita (παιδίον, paidìon, “bambino/bambina”)
“La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei”. – Mr 7:30
Il termine greco παιδίον (paidìon) è un sostantivo neutro, diminutivo di παῖς (pàis), maschile/femminile, “bambino”.
In questo passo si parla della donna fenicia che con la sua fede seppe vincere le resistenze di Yeshùa. Si veda alla voce Donna cananea.
Basmat figlia di Salomone (בָּשְׂמַת, Basmàt, “olio balsamico”)
“Aimaas, in Neftali; anche questi aveva preso in moglie Basmat, figlia di Salomone”. – 1Re 4:15.
1Re 4:7 spiega che “Salomone aveva dodici prefetti su tutto Israele, i quali provvedevano al mantenimento del re e della sua casa; ciascuno di essi doveva provvedervi per un mese all’anno”, e dal v. 8 si danno i loro nomi. Basmat era moglie di uno di questi delegati annonari ed era figlia del re Salomone.
Basmat moglie di Esaù (בָּשְׂמַת, Basmàt, “olio balsamico”)
“Esaù, all’età di quarant’anni, prese in moglie Giudit, figlia di Beeri, l’Ittita, e Basmat, figlia di Elon, l’Ittita. Esse furono causa di profonda amarezza per Isacco e per Rebecca”. – Gn 26:34,35.
Non c’è motivo di pensare che Basmat fosse chiamata anche Ada, sulla base di Gn 36:2: “Esaù prese le sue mogli tra le figlie dei Cananei: Ada, figlia di Elon, l’Ittita”. Il v. spiega da sé che “Esaù prese le sue mogli”, più d’una. Le due donne potevano quindi essere sorelle (si veda Ada). In ogni caso, queste donne cananee “furono causa di profonda amarezza per Isacco e per Rebecca”, genitori di Esaù. Non si confonda questa Basmat con l’omonima altra moglie di Esaù (si veda la prossima Basmat).
Basmat successiva moglie di Esaù (בָּשְׂמַת, Basmàt, “olio balsamico”)
“Esaù prese le sue mogli tra le figlie dei Cananei: Ada, figlia di Elon, l’Ittita; Oolibama, figlia di Ana, figlia di Sibeon, l’Ivveo; e Basmat, figlia d’Ismaele, sorella di Nebaiot”. – Gn 36:2,3.
Questa Basmat era “figlia d’Ismaele”, a differenza dell’omonima altra moglie di Esaù che era “figlia di Elon”. Essendo figlia di Ismaele, che era figlio di Abraamo, Basmat era perciò cugina di primo grado di Esaù. Esaù la prese in moglie dopo aver visto la profonda amarezza che aveva procurato ai suoi genitori prendendo mogli cananee. – Gn 28:8,9.
Gn 28:9 dice che Esaù “andò da Ismaele, e prese per moglie, oltre quelle che aveva già, Maalat, figlia d’Ismaele, figlio d’Abraamo, sorella di Nebaiot”. Alcuni commentatori pensano che Maalat sia un altro nome di Basmat, dato che ambedue sono dette “figlia d’Ismaele” e “sorella di Nebaiot”. Potevano però essere semplicemente sorelle.
Bat-Sceba (בַּת־שֶׁבַע, Bat-shèvah, “figlia [d’]abbondanza”)
Betsabea (nome con cui Bat-Sceba è più conosciuta) rimane una delle donne più calunniate della Bibbia. Nonostante la Bibbia ripetutamente ammetta la responsabilità del suo adulterio esclusivamente imputabile a Davide, commentatori e predicatori continuano a darle la colpa; perfino alcune femministe asseriscono che lei abbia colpa. Vediamo la sua storia.
Una primavera, “nella stagione in cui i re cominciano le guerre, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme” (2Sam 11:1). “Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima. Davide mandò a chiedere chi fosse la donna. Gli dissero: ‘È Bat-Sceba, figlia di Eliam, moglie di Uria, l’Ittita’. Davide mandò a prenderla; lei venne da lui ed egli si unì a lei” (2Sam 11:2-4). Si poteva dire di no ad un re, un re potente come Davide?
“La donna rimase incinta e lo fece sapere a Davide dicendo: ‘Sono incinta’” (2Sam 11:5). Da qui ha inizio una delle storie più truci della Bibbia. Davide, per nascondere la sua responsabilità, fece rientrare suo marito Uria dal campo di battaglia in modo che potesse avere rapporti intimi con sua moglie (2Sam 11:6-8). “Ma Uria dormì alla porta del palazzo del re con tutti i servi del suo signore, e non scese a casa sua” (2Sam 11:9). Al che, Davide ci riprovò: “Disse a Uria: ’Trattieniti qui anche oggi, e domani ti lascerò partire’. Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il giorno seguente. Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé; lo ubriacò”, però “la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo lettuccio con i servi del suo signore, ma non scese a casa sua”. – 2Sam 11:12,13.
Agendo di male in peggio, “la mattina seguente, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mezzo d’Uria. Nella lettera aveva scritto così: ‘Mandate Uria al fronte, dove più infuria la battaglia; poi ritiratevi da lui, perché egli resti colpito e muoia’” (2Sam 11:14,15). In seguito, “Ioab inviò un messaggero a Davide per fargli sapere tutte le cose che erano accadute nella battaglia e diede al messaggero quest’ordine: . . . gli dirai: ‘Anche il tuo servo Uria, l’Ittita, è morto’” (2Sam 11:18-21). “Allora Davide disse al messaggero: ‘Dirai così a Ioab: Non affliggerti per ciò che è accaduto, perché la spada divora ora l’uno ora l’altro’”. – 2Sam 11:25.
“Quando la moglie di Uria udì che suo marito era morto, lo pianse. Dopo che ebbe finito i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere in casa sua. Lei divenne sua moglie e gli partorì un figlio”. – 2Sam 11:26,27.
Il profeta Natan rimproverò aspramente il re Davide. Gli narrò una storia in cui un uomo ricco che “aveva pecore e buoi in grandissimo numero”, un giorno prese l’unica “agnellina” che un pover’uomo, che “non aveva nulla”, “aveva comprata e allevata” e che “era per lui come una figlia” (2Sam 12:1-4). “Davide si adirò moltissimo contro quell’uomo e disse a Natan: ‘Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita la morte; e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà’” (2Sam 12:5,6). “Allora Natan disse a Davide: ‘Tu sei quell’uomo!’”. – 2Sam 12:7.
Davide riconobbe allora la sua colpa: “Davide disse a Natan: ‘Ho peccato contro il Signore’” (2Sam 12:13). Il Sl 51, scritto da Davide, dice tutto il suo dolore di pentimento. Il figlio adulterino di Davide e di Bat-Sceba, di cui la Bibbia tace il nome, morì (2Sam 12:14; cfr. Dt 23:2). Davide divenne più sensibile verso la situazione in cui aveva cacciato Betsabea: “Davide consolò Bat-Sceba sua moglie”. – 2Sam 12:24.
Per ciò che concerne le presunte responsabilità di Bat-Sceba, in nessun punto la Bibbia dice che lei sapesse che Davide la stava guardando mentre faceva il bagno, né tantomeno che lei ostentasse la sua eccezionale bellezza. Davide si mostrò in quell’occasione un guardone e la volle solo perché lei era molto bella. Quando poi Davide fu informato che lei era sposata, neppure allora si fermò. È inutile insistere sul fatto che quando “Davide mandò a prenderla”, “lei venne da lui” (2Sam 11:4). Davide era il re: poteva lei rifiutarsi? Si noti poi che Davide non le fece pervenire un invito, ma “mandò a prenderla”. Non aveva inviato un semplice messaggero con un invito, ma diversi suoi servi, come di deduce dal verbo al plurale “dissero” al v.3; costoro dovevano “prenderla”. “Egli si unì a lei . . . poi lei tornò a casa sua” (2Sam 11:4); non bisogna pensare ora a Davide come ad un maniaco sessuale e a un avido manipolare, ma in quella occasione fece quello che gli pareva e, consumato il suo piacere, lasciò andare la donna, così che “lei tornò a casa sua”. Per Davide la cosa era finita lì. Possiamo immaginare il suo panico quando seppe che lei era incinta. Bat-Sceba informò il re, padre del bambino, nella speranza di un aiuto. Che altro poteva fare? I soliti cinici commentatori – molto pochi, per fortuna – arrivano a dire che Betsabea, dato che fa infornare il re, avesse programmato la gravidanza. È assurdo. Che parole si aspettavano questi meschini commentatori da parte di Betsabea? Lei usò le stesse parole che molte giovani donne pronunciano oggi in circostanze analoghe.
Bat-Sceba è menzionata di nuovo verso la fine del regno di Davide. Davide le aveva giurato che il loro figlio Salomone avrebbe regnato dopo di lui (cfr. 1Re 1:24). Quando Adonia (fratellastro maggiore di Salomone) tentò di usurpare il trono, Betsabea, su consiglio del profeta Natan, ricordò a Davide il suo giuramento. Davide non esitò e incoronò Salomone. Bat-Sheba divenne allora regina madre. – 1Re 1:5-37.
Qui vediamo una donna che agisce bene. Da notare che lei se ne stava in disparte. Fu il profeta Natan a intervenire: “Natan parlò a Bat-Sceba, madre di Salomone, e le disse: ‘Non hai udito che Adonia, figlio di Agghit, è diventato re senza che Davide nostro signore ne sappia nulla? Vieni dunque, e permetti che io ti dia un consiglio, affinché tu salvi la tua vita e quella di tuo figlio Salomone. Va’, entra dal re Davide’” (1Re 1:11-13). Mentre le altre mogli di Davide erano diventate pedine in un intrigo politico, Bat-Sceba fece la cosa giusta secondo le intenzioni di Davide. Inoltre, lei non approfitta dell’incontro con il re (suggeritole dal profeta, va ricordato) per aggiungere di suo: lei mette al corrente suo marito che Adonia pretende il trono e che sta escludendo Salomone da qualsiasi forma di partecipazione. È un bel colpo di scena, nel racconto biblico, l’entrata di Natan nello scenario: “Lei parlava ancora con il re, quando arrivò il profeta Natan” (1Re 1:22). Il profeta fa la sua parte e conferma a Davide ciò che Bat-Sceba gli aveva detto. – 1Re 1:24-27.
“Davide si addormentò con i suoi padri . . . Salomone sedette sul trono di Davide suo padre, e il suo regno fu saldamente stabilito” (1Re 2:10-12). Dopo la morte di Davide, Bat-Sceba, ormai regina madre, compare davanti al nuovo re, suo figlio Salomone. L’atteggiamento del nuovo re dice tutta la considerazione e il rispetto per Bat-Sceba: “Il re si alzò per andarle incontro, le si inchinò, poi si risedette sul trono, e fece mettere un altro trono per sua madre, la quale si sedette alla sua destra” (1Re 2:19). L’accoglienza riservata a Bat-Sceba dice anche tutto il potere di cui lei godeva come regina madre. Il farla sedere alla destra del re indica il potere condiviso.
La storia di Bat-Sceba poteva essere una delle tante storie del passato ricordate dalla Bibbia, ma così non fu. Il suo nome rimane legato alla storia genealogica di Yeshùa: “Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria . . . nacque Gesù, che è chiamato Cristo”. – Mt 1:6,16.
Bat-Sua (בַת־שׁוּעַ, Bat-shùa, “figlia di salvezza”)
Qui occorre prestare molta attenzione, data la confusione che viene fatta su questo nome. Iniziamo con 1Cron 2:3: “I figli di Giuda furono: Er, Onan e Sela; questi tre gli nacquero dalla figlia di Sua, la Cananea”. Dalla traduzione sembrerebbe che si parli di una donna figlia di Sua. Qui sono state prese lucciole per lanterne. L’ebraico ha בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa), che letteralmente può significare sì “figlia di Sua” (בַּת, bat, in ebraico significa “figlia”), ma che invece è un nome proprio femminile. Questo nome lo troviamo in 1Cron 3:5: “Simea, Sobab, Natan, Salomone: quattro figli natigli da Bat-Sua [בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa)]”. Si noti TNM: “Simea e Sobab e Natan e Salomone, quattro di Betsabea”; la nota in calce dice: “’Betsabea’, Vg; M, ‘Bat-Sua’”, il che significa che “Betsabea” è la lezione della Vulgata (traduzione in latino), mentre “Bat-Sua” è la lezione originale della Bibbia (M = Testo ebraico masoretico contenuto nel Codice di Leningrado B 19A). Bat-Sua, בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa), quindi è una variante di בַּת־שֶׁבַע (Bat-shèvah) ovvero di Betsabea. Il nome proprio femminile בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa) è un nome che tuttora viene assegnato a diverse bambine israeliane ed è anche in uso presso persone di cultura ebraica.
Si noti poi che non esiste un nome ebraico maschile che suoni שׁוּעַ (Shùa). Esiste sì un uomo di nome “Sua”, ma solo nelle traduzioni, come in 1Cron 7:36: “I figli di Sofa furono: Sua, . . .”; il testo ebraico lo chiama סוּחַ (Sùakh), nome ben diverso da שׁוּעַ (Shùa). Esiste invece un nome שׁוּעַ (Shùa) femminile: “Eber generò Iaflet, Somer, Otam e Sua, loro sorella” (1Cron 7:32). Questo nome viene trattato alla voce Sua dell’elenco. Evidentemente שׁוּעַ (Shùa) è il nome abbreviato di בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa).
TNM fa confusione in Gn 38:2, che così traduce: “Giuda vedeva la figlia di un certo cananeo, il nome del quale era Sua. La prese dunque ed ebbe relazione con lei”. Sembrerebbe che Sua sia il nome del cananeo. L’equivoco nasce dalla parola שְׁמֹו (shmò), “nome di lui”. Vediamo il passo nella Bibbia:
וַיַּרְא־שָׁם יְהוּדָה בַּת־אִישׁ כְּנַעֲנִי וּשְׁמֹו שׁוּעַ וַיִּקָּחֶהָ וַיָּבֹא אֵלֶיהָ׃
vayarè –sham yehudàh bat-ysh kenaanì ushmò shuà vayqakhèha vayavò elèyah
e vide-là Giuda figlia uomo cananeo e nome di lui Sua e prese lei e andò con lei
Ora, questo passo appare in chiaro contrasto con 1Cron 2:3 in cui בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa) è il nome femminile attribuito alla figlia del cananeo. Come si spiega? Evidentemente con un errore del copista. Va ricordato che non abbiamo gli originali dei manoscritti biblici, ma solo copie delle copie delle copie, in una lunga catena. Per tradurre ‘il nome di lei’ dovremmo avere – anziché שְׁמֹו (shmò), “nome di lui” – שְׁמָהּ (shmah). Considerato che i punti vocalici furono inseriti dai masoreti solo secoli dopo il completamento del canone biblico, i due vocaboli apparivano così: שמו (shmo) – שמה (shmh). Si noti ora la somiglianza tra le due finali: ו – ה. Quando veniva fatta una nuova copia di un manoscritto, dato l’alto costo del materiale, era ovvio che il precedente era alquanto consumato. Lo era talmente, quello che conteneva la sezione di Gn 38:2, da rendere confusa la finale ה tanto che il copista la prese per ו? Probabile: il senso quadrava perfettamente anche scambiando le lettere tra loro.
A conferma che l’originale era “nome della quale” (שְׁמָהּ, shmah), abbiamo la traduzione greca dei LXX, usata anche nel 1° secolo dalla primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa. Questa versione greca ha: εἶδεν ἐκεῖ Ιουδας θυγατέρα ἀνθρώπου Χαναναίου, ᾗ ὄνομα Σαυα (èiden ekèi Iudàs thügatèra anthròpu chananàiu, e ònoma Saua), letteralmente: “Vide là Giuda figlia di un uomo cananeo, alla quale [apparteneva] nome Saua”. Il pronome relativo ᾗ (e) è al caso dativo (si noti lo iota – ͺ – sottoscritto sotto la η): si tratta di un dativo possessivo, costruzione richiesta dal greco che per dire “il nome di lei” dice “il nome a lei”. “Sua” (שׁוּעַ, Shùa) è semplicemente la forma abbreviata di בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa).
A ulteriore conferma c’è la Bibbia stessa. Non solo 1Cron 2:3 ha בַּת־שׁוּעַ (Bat-shùa), ma anche Gn 38:12 ha: “Passarono molti giorni e בַּת־שׁוּעַ [Bat-shùa], moglie di Giuda, morì”. – Testo ebraico originale.
Bat-Sua ebbe tre figli: “Er, Onan e Sela” (1Cron 2:3). Dal nome di suo figlio Onan deriva il termine “onanismo”, perché Onan utilizzò la pratica anticoncezionale del coitus interruptus per evitare volontariamente il concepimento di figli che non avrebbero potuto portare il suo nome: “Giuda disse a Onan: ‘Va’ dalla moglie di tuo fratello, prenditela in moglie come cognato [= pratica del levirato] e suscita una discendenza a tuo fratello’. Onan, sapendo che quei discendenti non sarebbero stati suoi, quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo d’impedire il concepimento, per non dare discendenti al fratello” (Gn 38:8,9). “Quando in effetti aveva relazione con la moglie di suo fratello sciupava il suo seme per terra” (Gn 38:9, TNM). Onanismo è quindi l’atto diretto a impedire la generazione della prole mediante l’uso del coito interrotto. È perciò errato il significato di masturbazione che viene dato a questo termine comunemente, purtroppo anche in ambiente medico-psicologico.
Er, fratello maggiore di Onan, era morto senza avere figli, per cui il loro padre Giuda chiede a Onan di dargli una discendenza tramite il matrimonio del cognato (levirato) con Tamar, moglie di Er. In base alla legge ebraica, il figlio così nato non sarebbe stato legalmente di Onan, ma di Er, ricevendo l’eredità di Er. Senza quel figlio, Onan avrebbe ricevuto lui stesso l’eredità. Onan di proposito evitava perciò di eiaculare nell’apparato genitale di Tamar. Per la sua disubbidienza al padre e alla legge del levirato, Onan fu messo a morte. – Gn 38:6-10;46:12; Nm 26:19.
Berenice (Βερνίκη, Berenìke, “colei che reca vittoria”)
“Il re Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea, per salutare Festo. E poiché si trattennero là per molti giorni, Festo raccontò al re il caso di Paolo, dicendo: ‘Vi è un uomo che è stato lasciato in carcere da Felice’”. – At 25:13,14.
Paolo era stato imprigionato dai capi religiosi giudei e le autorità romane avevano deciso di prendere in carico il caso. Festo si curava della faccenda, ma Paolo insistette nell’appellarsi all’imperatore romano (At 25:11,21). Festo accolse il suo ricorso al tribunale imperiale, ma rimaneva sconcertato e perplesso. Presentò così il caso ai suoi visitatori, il re Agrippa e Berenice, sorella del re. Berenice era figlia di Erode Agrippa I. Il procuratore romano Festo si trovava a Cesarea.
“Il giorno seguente, dunque, Agrippa e Berenice giunsero con gran pompa, ed entrarono nella sala d’udienza con i tribuni e con i notabili della città; e, per ordine di Festo, fu condotto Paolo” (At 25:23). A Paolo fu consentito di parlare a propria difesa. – At 26:1-30.
La “gran pompa” con cui “entrarono nella sala d’udienza con i tribuni e con i notabili della città” aveva ovviamente lo scopo di intimidire Paolo, che però parlò con grande eloquenza. “Allora il re si alzò, e con lui il governatore, Berenice, e quanti sedevano con loro; e, ritiratisi in disparte, parlavano gli uni agli altri, dicendo: ‘Quest’uomo non fa nulla che meriti la morte o la prigione’. Agrippa disse a Festo: ‘Quest’uomo poteva esser liberato, se non si fosse appellato a Cesare’”. – At 26:30-32.
Si noti che in tutti i passaggi Berenice è sempre menzionata: faceva parte delle persone che trattavano il caso, presiedendo l’udienza insieme al re e al procuratore. “”
Dalle fonti storiche sappiamo che Berenice era una donna immorale e alquanto spudorata. Dopo la morte di un tale Marco (figlio di Alessandro Lisimaco) cui era sposata, sposò il proprio zio Erode (re di Calcide) e da lui ebbe due figli. Visse poi una relazione incestuosa col fratello, suscitando scandalo pubblico. Sposò in seguito Polemone (re di Cilicia), che poi abbandonò per tornare a vivere col fratello; fu allora che lei e suo fratello Agrippa si recarono a Cesarea da Festo. Nel 66 E. V. Berenice tentò di difendere i giudei durante la loro ribellione all’Impero romano, ma poi giurò fedeltà all’imperatore romano Vespasiano. Infine divenne l’amante del figlio di Vespasiano, Tito.
Betsabea: vedere Bat-Sceba
Bila (בִּלְהָה, Bilhàh, “timida”)
“Labano diede la sua serva Bila per serva a Rachele, sua figlia”. – Gn 29:29.
“Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e disse a Giacobbe: ‘Dammi dei figli, altrimenti muoio’. Giacobbe s’irritò contro Rachele, e disse: ‘Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di essere feconda?’ Lei rispose: ‘Ecco la mia serva Bila; entra da lei; ella partorirà sulle mie ginocchia e per mezzo di lei, avrò anch’io dei figli’. Ella gli diede la sua serva Bila per moglie, e Giacobbe si unì a lei. Bila concepì e partorì un figlio a Giacobbe. Rachele disse: ‘Dio mi ha reso giustizia, ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio’. Perciò lo chiamò Dan. Bila, serva di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. Rachele disse: ‘Ho sostenuto contro mia sorella lotte straordinarie e ho vinto’. Perciò lo chiamò Neftali” (Gn 30:1-8). L’espressione “gli diede la sua serva Bila per moglie” non va letta all’occidentale. La moglie legittima rimaneva Rachele. L’espressione di Rachele “ella partorirà sulle mie ginocchia” sta ad indicare che, secondo la legge ebraica, il figlio nato dalla sua schiava sarebbe stato considerato legittimamente suo e di Labano; infatti poi dice: “Per mezzo di lei, avrò anch’io dei figli”. La stessa cosa aveva fatto Sara, moglie di Abraamo. – Gn 16:2.
I due figli di Bila (legalmente di Rachele), Dan e Neftali, diedero origine con le loro discendenze a due delle dodici tribù d’Israele. – Gn 30:3-8;35:25; 1Cron 7:13.
Dopo la morte di Rachele, Bila ebbe una relazione con il figlio maggiore di Giacobbe, Ruben. – Gn 35:22;49:3,4.
Bitia (בִּתְיָה, Bityàh, “figlia di Yah”)
“Bitia, figlia del faraone, che Mered aveva presa in moglie”. – 1Cron 4:18.
Di questa donna sappiamo solo che era una principessa egizia, che sposò un ebreo quale sua seconda moglie e che ebbe da lui tre figli: Miriam, Sammai e Isba (1Cron 4:17). Il Midràsh rabbinico vede in lei la madre adottiva di Mosè, esiliata dal faraone per aver fiancheggiato Mosè e quindi uscita dall’Egitto con gli ebrei durante l’Esodo; ciò le avrebbe valso il nome ebraico di “figlia di Yah” (Bitia). Il Midràsh la raffigura come una donna devota che si bagnava nel Nilo per purificarsi dall’idolatria egiziana. – Esodo Rabbàh 18:3.
Nel Hadith islamico Bitia è conosciuta come Asiya, una delle quattro tra “le migliori delle donne”. Il Corano parla di lei come della moglie (e non figlia) del faraone.
Queste tradizioni, ebraica ed islamica, non hanno alcun appoggio biblico.