Figlia – definizione (ebraico: בַת, bat; greco: θυγάτηρ, thügàter; “figlia”)
Questa parola, oltre al suo significato naturale, viene utilizzata dalla Bibbia per designare:
- Una figliastra. – Gn 20:12.
- Una figlia adottiva. – Est 2:7,15.
- Un sorella. – Gn 34:8,17.
- Una nipote. – Gn 24:48; 1Re 15:2,10.
- Una nuora. – Gdc 12:9; Rut 1:11-13.
- Una discendente. – Gn 27:46; Lc 1:5;13:16.
- Una donna in generale. – Gn 6:2,4;30:13; Pr 31:29.
- Una donna indigena, di una particolare popolazione, regione o città. – Gn 24:37; Gdc 11:40;21:21.
- Una donna adoratrice di falsi dèi. – Mal 2:11.
- Una donna quale vezzeggiativo rivolto da una persona autorevole o anziana ad una donna più giovane. – Rut 3:10, 11; Mr 5:34.
- Il ramo di un albero. – Gn 49:22.
- Una borgata o villaggio dipendente da una città madre. – Nm 21:25 (in cui “le terre del suo territorio” di Did sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Gs 17:11 (in cui i “suoi villaggi” di NR sono “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah); Ger 49:2 (in cui “le sue stesse borgate dipendenti” di TNM sono nel testo ebraico “le sue figlie”, בְּנֹתֶיהָ, benotèyah).
- Una donna appartenente ad una categoria. – Ec 12:4 (in cui “le figlie del canto” di NR – che qui si trova al v. 6 – sono nell’ebraico בְּנֹות הַשִּׁיר, benòt hashìr, appunto “figlie del canto”).
Figlia del faraone e madre adottiva di Mosè (בַּת־פַּרְעֹה, bat-faròh, “figlia-faraone”)
“La figlia del faraone scese al Fiume per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a prenderlo. Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: ‘Questo è uno dei figli degli Ebrei’. Allora la sorella del bambino disse alla figlia del faraone: ‘Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che allatti questo bambino?’ La figlia del faraone le rispose: ‘Va’’. E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: ‘Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un salario’. Quella donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio ed ella lo chiamò Mosè; ‘perché’, disse: ‘io l’ho tirato fuori dalle acque’”. – Exodus 2:5-10: Es 2:5-10.
Il libro dell’Esodo si apre con l’eroismo di diverse donne. Una delle donne più trascurate al riguardo è la figlia di un faraone. In un periodo di forti pregiudizi razziali, questa principessa egizia, figlia del faraone, passò vittoriosa attraverso le barriere razziali e religiose del suo tempo per mostrare compassione ad un bambino.
Mentre fa il bagno, la figlia del faraone trova un bimbo che identifica come ebreo. Il faraone, suo padre, aveva decretato che tutti i neonati ebrei di sesso maschile dovevano essere messi a morte per prevenire l’esplosione demografica della popolazione ebraica (Es 1:9-22). Eppure, quella principessa egizia ebbe il coraggio non solo di salvare il bambino, ma di prenderlo con sé come suo figlio adottivo. Chiamò il figlio Mosè, “‘perché’, disse: ‘io l’ho tirato fuori [משה (moshè), “tratto”, dal verbo משה (mashàh), “trarre”] dalle acque’” (Es 2:5-10). Essendo il nome dato da una principessa egiziana, va detto che il nome deriva linguisticamente dalla radice egizia mosi (= “nascere”), radice che si trova anche in nomi come Tutmosis (figlio del dio Thot) e Ramses (figlio del dio Ra); la Bibbia ovviamente non lega il nome all’etimologia egiziana ma a quella ebraica.
Stefano evidenzia le azioni della figlia del faraone nel suo discorso: “Quando [Mosè] fu abbandonato, la figlia del faraone lo raccolse e lo allevò come figlio. Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani e divenne potente in parole e opere” (At 7:21,22). Eb 11:24 ci ricorda: “Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone”.
La figlia del faraone mostrò compassione verso un bambino innocente di una razza disprezzata. Il suo atto di compassione diventò il fondamento per la liberazione del popolo ebraico. In molti modi la figlia del faraone mostrò le buone qualità del personaggio di una parabola di Yeshùa, noto come “il buon samaritano”. Anch’egli superò il pregiudizio razziale e sociale, salvando una persona per vera compassione. – Lc 10:30-37.
Pur non facendo parte del popolo eletto, questa donna dimostrò una cura e una sollecitudine che non sempre gli stessi credenti sanno mostrare. Spesso siamo pronti a respingere la gentilezza di non credenti oppure – fatto più grave – l’accettiamo per poi non apprezzarla. Eppure, la Bibbia è ricca di casi in cui Dio impiegò non credenti. Al tempo di Mosè Il Signore impiegò la figlia di un potente re pagano nel suo piano di liberazione del popolo ebraico. Pur avendo doti proprie, è grazie alla figlia del faraone che Mosè apprese molte delle competenze e gran parte della conoscenza che gli sarebbero servite nel suo lavoro al servizio di Dio.
Figlia del faraone e moglie di Salomone (בַּת־פַּרְעֹה, bat-faròh, “figlia-faraone”)
“Salomone s’imparentò con il faraone, re d’Egitto. Sposò la figlia del faraone e la condusse nella città di Davide, finché egli avesse finito di costruire il suo palazzo, la casa del Signore e le mura di cinta di Gerusalemme”. – 1Re 3:1.
Nonostante la legge divina stabilisse che gli ebrei (compresi ovviamente i re) non dovevano sposarsi con donne che non fossero ebree (Es 34:14-16; Dt 7:1-4), Salomone sposò una principessa egiziana. Quel matrimonio fu un’alleanza politica.
“Il faraone, re d’Egitto, era salito a impadronirsi di Ghezer, l’aveva data alle fiamme, e aveva ucciso i Cananei che abitavano la città; poi l’aveva data per dote a sua figlia, moglie di Salomone” (1Re 9:16). Questa principessa ebbe in dote nientemeno che una città. Aveva comunque una casa personale fuori Gerusalemme, in cui abitava, menzionata in 1Re 9:24: “La figlia del faraone salì dalla città di Davide alla casa che Salomone le aveva fatto costruire”, casa che apprendiamo da 1Re 3:1 essere un “palazzo”. Tuttavia, non fu solo mania di grandezza, ma questione di purezza: “Salomone fece salire la figlia del faraone dalla città di Davide alla casa che egli le aveva fatto costruire; perché disse: ‘Mia moglie non abiterà nella casa di Davide re d’Israele, perché i luoghi dov’è entrata l’arca del Signore sono santi’”. – 2Cron 8:11.
Nonostante il suo alto rango, questa principessa dovette subire, come donna, l’umiliazione di condividere il marito con molte altre: “Il re Salomone, oltre alla figlia del faraone, amò molte donne straniere: delle Moabite, delle Ammonite, delle Idumee, delle Sidonie, delle Ittite”. – 1Re 11:1.
Figlia del re (בִּתֹּו, bitò, “sua figlia”)
“Tutti gli uomini d’Israele, alla vista di quell’uomo, fuggirono davanti a lui, presi da gran paura. Gli uomini d’Israele dicevano: ‘Avete visto quell’uomo che avanza? Egli avanza per coprire di vergogna Israele. Se qualcuno lo uccide, il re lo farà molto ricco, gli darà sua figlia ed esenterà la casa del padre di lui da ogni obbligo in Israele’. Davide, rivolgendosi a quelli che gli erano vicini, disse: ‘Che si farà dunque all’uomo che ucciderà il Filisteo e toglierà questa vergogna a Israele? Chi è questo Filisteo, questo incirconciso, che osa insultare le schiere del Dio vivente?’ La gente gli rispose con le stesse parole di prima, dicendo: ‘Si farà questo e questo a colui che lo ucciderà’”. – 1Sam 17:24-27.
Qui vediamo che gli uomini d’Israele erano piuttosto liberali con la figlia del re. Si noti che sono “gli uomini d’Israele” a dire הָיָה (hayàh), “deve avvenire/sia” (testo ebraico); lo dicono senza il consenso del re, loro decidono che sia bene così. Il re non aveva promesso alcunché, per il momento. Davide però ora ha un motivo specifico per combattere contro Golia, motivo di cui non fa menzione quando parla di Saul.
Solo in seguito il re Saul fa sua la proposta popolare: “Saul disse a Davide: ‘Ecco Merab, la mia figlia maggiore; io te la darò in moglie; solo sii per me un guerriero valente’” (1Sam 18:17). Ma tra sé intanto pensa: “Così non sarà la mia mano a colpirlo, ma la mano dei Filistei” (Ibidem). Dal che traspare che a dare sua figlia il re non ci pensava proprio. Ciò è provato anche dal fatto che quando poi vi fu costretto perché Davide aveva abbattuto il gigante filisteo, non mantenne neppure la sua stessa parola e “quando giunse il momento di dare Merab, figlia di Saul, a Davide, fu invece data in sposa ad Adriel il Meolatita”. – 1Sam 18:19.
Figlia della donna cananea (θυγάτηρ, thügàter, “figlia”)
“Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: ‘Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio’. Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: ‘Mandala via, perché ci grida dietro’. Ma egli rispose: ‘Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele’. Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: ‘Signore, aiutami!’ Gesù rispose: ‘Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini’. Ma ella disse: ‘Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni’. Allora Gesù le disse: ‘Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi’. E da quel momento sua figlia fu guarita”. – Mt 15:21-28.
Nella versione marciana: “Gesù partì di là e se ne andò verso la regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto, anzi subito, una donna la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito parlare di lui, venne e gli si gettò ai piedi. Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita; e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia. Gesù le disse: ‘Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini’. ‘Sì, Signore’, ella rispose, ‘ma i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli’. E Gesù le disse: ‘Per questa parola, va’, il demonio è uscito da tua figlia’. La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei”. – Mr 7:24-30.
Questa ragazza, ci dice il testo, era “tormentata da un demonio”. La Bibbia non dice se questo tormento le causava problemi fisici o emotivi. Poteva essere epilessia, al tempo attribuita al demonio. Tuttavia, il messaggio qui è che la madre credeva che la ragazza potesse essere guarita. La madre avvicinò Yeshùa, mostrando una grande fede, e la figlia fu guarita.
Si veda Si veda anche alla voce Donna cananea.
Figlia di Erodiada (θυγάτηρ, thügàter; “figlia”)
“Mentre si celebrava il compleanno di Erode, la figlia di Erodiada ballò nel convito e piacque a Erode”. – Mt 14:6.
Di questa ragazza la Bibbia tace il nome, ma dagli scritti di Giuseppe Flavio sappiamo che si chiamava Salomè (Antichità giudaiche XVIII, 136-137). Lei era una principessa giudaica, figlia di Erodiada e di Erode Filippo. Erode Antipa, fratellastro di Filippo, aveva sposato Erodiada (si era trattato di un caso d’adulterio). Salomè era quindi figliastra di Erode Antipa.
In occasione dei festeggiamenti del compleanno di Erode Antipa, “la figlia di Erodiada ballò nel convito e piacque a Erode; ed egli promise con giuramento di darle tutto quello che avrebbe richiesto. Ella, spintavi da sua madre, disse: ‘Dammi qui, su un piatto, la testa di Giovanni il battista’. Il re ne fu rattristato ma, a motivo dei giuramenti e degli invitati, comandò che le fosse data, e mandò a decapitare Giovanni in prigione. La sua testa fu portata su un piatto e data alla fanciulla, che la portò a sua madre”. – Mt 14:6-11; cfr. Mr 6:17-28.
Il fascino dell’eterno femminino fu in tale occasione davvero fatale. L’odio che Erodiada provava per il battezzatore era originato dalle critiche che lui aveva mosso ad Erode Antipa. Costui, “fatto arrestare Giovanni, lo aveva incatenato e messo in prigione a motivo di Erodiada, moglie di Filippo suo fratello; perché Giovanni gli diceva: ‘Non ti è lecito averla’. E benché desiderasse farlo morire, temette la folla che lo considerava un profeta”. – Mt 14:3-5.
Figlia di Iefte (בֵּיתֹו, beytò, “figlia di lui”)
“Iefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro sua figlia, con timpani e danze. Era l’unica sua figlia; non aveva altri figli né altre figlie. Come la vide, si stracciò le vesti e disse: ‘Ah, figlia mia! tu mi riempi d’angoscia! tu sei fra quelli che mi fanno soffrire! Io ho fatto una promessa al Signore e non posso revocarla’”. – Gdc 11:34,35.
Siamo di fronte ad una storia tragica che narra le conseguenze drammatiche di una promessa votiva imprudente. Iefte, nel tentativo di ingraziarsi Dio, promise che se Dio gli avesse concesso la vittoria sugli ammoniti, gli avrebbe offerto chiunque sarebbe uscito da casa sua per salutarlo (Gdc 11:30,31). Tornato a casa vittorioso (Gdc 11:32,33), gli venne incontro la sua unica figlia.
Questa storia è piena di ironia, malgrado la sua tragicità. Una promessa avventata era già stata fatta dai notabili del posto: “Il popolo, i prìncipi di Galaad, si dissero l’un l’altro: ‘Chi sarà l’uomo che comincerà l’attacco contro i figli di Ammon? Egli sarà il capo di tutti gli abitanti di Galaad’” (Gdc 10:18). Iefte, a sua volta, fa un voto non solo avventato ma assurdo e profondamente sbagliato. Anzi, non solo doppiamente sbagliato, ma tre voglie sbagliato. Intanto, la Legge vietava i sacrifici umani: “Non farai così riguardo al Signore tuo Dio, poiché esse [le nazioni] praticavano verso i loro dèi tutto ciò che è abominevole per il Signore e che egli detesta; davano perfino alle fiamme i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi” (Dt 12:31; cfr. Sl 106:37,38). In secondo luogo, Iefte cercò di manipolare Dio. Dio aveva detto: “Mi avete abbandonato e avete servito altri dèi; perciò io non vi libererò più. Andate a gridare agli dèi che avete scelto; vi salvino essi nel tempo della vostra angoscia!’” (Gdc 10:13,14). Ora Iefte si rivolgeva al Dio di Israele e, per ingraziarselo, aveva promesso un olocausto proprio alla maniera in cui i pagani lo facevano ai loro dèi. Tra l’altro, “lo Spirito del Signore venne su Iefte, che attraversò Galaad e Manasse, passò a Mispa di Galaad e da Mispa di Galaad mosse contro i figli di Ammon” (Gdc 11:29), ma lui volle forzare la mano con il suo voto assurdo. Sentiva il bisogno di qualcosa di più ed ebbe la pazza idea di tentare di spingere Dio a fare le cose a modo suo. In terzo luogo, non aveva nessun diritto di implicare nella sua follia l’ignara persona che gli sarebbe venuta incontro.
Egli fece quindi la sua sconsiderata promessa, per scoprire poi che l’ultima persona che avrebbe voluto trovare era proprio la sua unica figlia. E qui Iefte, anziché rinsavire, sembra dare la colpa addirittura alla figlia (come fece Adamo con Eva – Gn 3:12): “Ah, figlia mia! tu mi riempi d’angoscia! tu sei fra quelli che mi fanno soffrire!” (Gdc 11:35). Ma chi mai si aspettava Iesse che uscisse da quella porta?
“Lei gli disse: ‘Padre mio, se hai dato la tua parola al Signore, trattami secondo la tua promessa, poiché il Signore ti ha permesso di vendicarti dei figli di Ammon, tuoi nemici’. Poi disse a suo padre: ‘Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, affinché vada su e giù per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne’” (Gdc 11:36,37). Questa giovane donna mostra un livello incredibile di maturità: accetta di buon grado le ripercussioni del voto pazzesco di suo padre. Lei chiede soltanto che le sia permesso di elaborare il lutto con le sue amiche.
“Egli le rispose: ‘Va’!’ e la lasciò andare per due mesi. Lei se ne andò con le sue compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi, tornò da suo padre; ed egli fece di lei quello che aveva promesso. Lei non aveva conosciuto uomo. Di qui venne in Israele l’usanza che le figlie d’Israele vadano tutti gli anni a celebrare la figlia di Iefte, il Galaadita, per quattro giorni” (Gdc 11:38-40). Il sacrificio umano avvenne.
Alcuni hanno avanzato la possibilità che non si trattasse di un olocausto, ma di una vita dedicata a Dio, sulla falsariga del nazireato (cfr. (1Sam 1:11, 22-28;2:11; Gdc 13:2-5,11-14; Nm 30:3-5,16). La Scrittura esclude questa interpretazione. È scritto che Iefte disse: “Io l’offrirò in olocausto” (Gdc 11:31). Il vocabolo ebraico usato (עֹולָה, olàh) indica un sacrificio consumato totalmente tramite il fuoco. Per ciò che riguarda una trattazione completa dell’orribile olocausto che Iefte fece, si veda il nostro studio Iefte sacrificò davvero sua figlia nella sezione Esegesi biblica, categoria Scritture Ebraiche. La Scrittura non ha bisogno di essere difesa dai religiosi. Basterebbe leggerla bene per capire che il sacrificio umano è del tutto condannato. Se poi la Scrittura narra candidamente questo episodio, ciò è a vergogna di Iefte, non della Bibbia.
Figlia di Machir (בַּת, bat, “figlia”)
“Chesron prese la figlia di Machir, padre di Galaad; egli aveva sessant’anni quando la sposò; e lei gli partorì Segub”. – 1Cron 2:21.
Questa donna si sposò con un uomo molto più anziano di lei. Dato che era ancora in grado di avere figli, tanto che partorì Segub, possiamo immaginare che potesse avere un’età non superiore a 30-35 anni, quando la maggior parte delle donne dell’antichità entrava in menopausa. Più che probabile, tuttavia, che fosse ancora una giovane donna. A quel tempo le ragazze si sposavano già verso i 12-13 anni. Oggi la vita si è allungata e si sta allungando ancora, ma allora le persone sui quarant’anni erano già vecchie.
Figlia di Sesan (בִּתֹּו, bitò, “figlia di lui”)
“Sesan non ebbe figli, ma soltanto figlie. Sesan aveva uno schiavo egiziano di nome Iara. E Sesan diede sua figlia in moglie a Iara, suo schiavo; e lei gli partorì Attai”. – 1Cron 2:34,35.
Dato che Sesan non aveva figli maschi, la sua discendenza sarebbe stata interrotta. Per non interromperla diede sua figlia in moglie al suo schiavo Iara. Ogni bambino nato dallo schiavo sarebbe stato considerato progenie di Sesan. Così egli fu in grado di continuare la sua linea. Sposare uno schiavo non era certo la mossa migliore per la figlia, da un punto di vista sociale. Tuttavia, ciò può aver avuto un risvolto a suo favore. Un matrimonio con uno straniero l’avrebbe separata dalla famiglia paterna.
Il nome di questa ragazza non è menzionato, almeno qui. Ma potrebbe essere stato Alai, stando a 1Cron 2:31: “Il figlio di Sesan fu Alai”; non ci si faccia ingannare dall’errata traduzione di NR: il testo ebraico non dice “figlio”, ma “figli” (בְנֵי, benè), formula con cui s’introduce la discendenza, maschi o femmine che siano. Tuttavia, va detto che il nome Alai compare nella Bibbia solo un’altra volta ed è riferito ad un uomo (1Cron 11:41). Se Alai era effettivamente un maschio, come spiegare l’affermazione di 1Cron 2:34 che “Sesan non ebbe figli, ma soltanto figlie”? Potrebbe essere morto da piccolo, per cui non viene nominato.
Figlia di Sua: vedere Bat-Sua
“I figli di Giuda furono: Er, Onan e Sela; questi tre gli nacquero dalla figlia di Sua, la Cananea”. – 1Cron 2:3.
Figlia di un sacerdote (בַת, bat, “figlia”)
“Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, ella disonora suo padre; sarà bruciata con il fuoco”. – Lv 21:9.
Questa rigida norma si spiega con la salvaguardia dell’onore del sacerdozio voluto da Dio. Non erano gli uomini a candidarsi alla carica sacerdotale, ma era stato Dio stesso a stabilirne la norma, affidando il sacerdozio alla discendenza del levita Aaronne. – Lv 21:16-23.
Le figlie dei sacerdoti dovevano rispecchiare la devozione dei padri verso Dio.
Figlia di uno dei capi della sinagoga (θυγάτηρ, thügàter, “figlia”)
“Mentre egli [Yeshùa] diceva loro queste cose, uno dei capi della sinagoga, avvicinatosi, s’inchinò davanti a lui e gli disse: ‘Mia figlia è morta or ora; ma vieni, posa la mano su di lei ed ella vivrà’. Gesù, alzatosi, lo seguiva con i suoi discepoli”. – Mt 9:18,19.
“Quando Gesù giunse alla casa del capo della sinagoga e vide i suonatori di flauto e la folla che faceva grande strepito, disse loro: ‘Allontanatevi, perché la bambina non è morta, ma dorme’. Ed essi ridevano di lui. Ma quando la folla fu messa fuori, egli entrò, prese la bambina per la mano ed ella si alzò”. – Mt 9:23-25.
Una ragazzina morta. Suo padre che cerca di Yeshùa, con una fede tale che gli chiede semplicemente di andare a toccarla, e – lui ne è certo – sua figlia “vivrà”. Spesso lasciamo che i pregiudizi giuridici e sociali nei confronti delle donne nel mondo antico falsino il nostro punto di vista circa le relazioni familiari. Qui abbiamo un padre che ama la figlia. E abbiamo Yeshùa che interrompe subito il discorso che stava facendo in pubblico, si alza immediatamente e segue il padre della ragazzina. L’amore, la compassione e la sollecitudine hanno il sopravvento. Quel padre rischiava il disprezzo della sinagoga e probabilmente anche la sua posizione per aver cercato il tanto disprezzato Yeshùa. Mentre la gente ride di lui, Yeshùa compie il miracolo. È stupendo il narrare di Matteo che, senza fare commenti, ancora con l’eco di quelle risa di scherno che ci lascia negli orecchi, semplicemente dice che Yeshùa “entrò, prese la bambina per la mano”. E la ragazzina “si alzò”. Viva. Il miracolo che riportò in vita questa ragazza dovrebbe essere celebrato.
Figliastra – definizione (ebraico: בַת, bat; greco: θυγάτηρ, thügàter; “figlia”)
In ebraico e in greco non c’è una parola specifica per indicare una figliastra: si usa la parola “figlia”; è in contesto a stabilirlo. Ad esempio, la principessa Salomè, figlia di Erodiada, era per Erode Antipa una figliastra, dato che costui aveva sposato sua madre. La ragazza era figlia di Erodiada e di Filippo, fratellatro di Erode Antipa (vedere la voce Figlia di Erodiada). In Mt 14:6 l’espressione “Mentre si celebrava il compleanno di Erode, la figlia di Erodiada” è sufficiente a stabilire che non era figlia di Erode, altrimenti il testo avrebbe detto “sua figlia”.
Essendo il termine “figlia” applicato anche alla figliastra, il comando di Lv 18:17 (che vietava l’incesto con la propria figlia) si applica anche alle figliastre.