Peninna (פְנִנָּה, Feninàh, “corallo”), moglie di Elcana
“C’era un uomo di Ramataim-Sofim, della regione montuosa di Efraim, che si chiamava Elcana, figlio di Ieroam, figlio di Eliù, figlio di Toù, figlio di Suf, efraimita. Aveva due mogli: una di nome Anna e l’altra di nome Peninna”. – 1Sam 1:1,2.
Peninna generò molti figli (cosa prestigiosa in Israele), tuttavia suo marito Elcana amava di più Anna, l’altra sua moglie. Per gelosia, Peninna derideva Anna, colpevolizzandola per la sua sterilità, soprattutto quando annualmente la famiglia si recava al tabernacolo di Silo. – 1Sam 1:1-8.
I commentatori si concentrano di solito esclusivamente su Anna e la sua fede, perdendo così la lezione che Peninna ci può insegnare. Peninna era in una posizione poco invidiabile: si era sposata con un uomo innamorato di un’altra donna. Peggio ancora, Peninna doveva vivere nella stessa casa. Quando giunse il momento del sacrifico rituale ed “Elcana offrì il sacrificio diede a Peninna, sua moglie, e a tutti i figli e a tutte le figlie di lei le loro parti; ma ad Anna diede una parte doppia, perché amava Anna” (1Sam 1:4,5). Possiamo immaginare come ci rimanesse Peninna. Lei aveva dato dei bambini a suo marito, li aveva nutriti e curati, il tutto senza la gratificazione dell’amore del marito, per non dire della sua fedeltà. Tuttavia, Anna e Peninna reagirono alla loro situazione in modo diverso. Anna si rivolse a Dio per il conforto e l’aiuto (1Sam 1:9-18), Peninna si rivolse alla gelosia e al rancore che covava in sé. Come Peninna, potremmo trovarci in una situazione in cui abbiamo molto ma non l’amore che ci spetterebbe e che invece viene dato ad altri. Dobbiamo decidere come rispondere a questa situazione: rivolgerci a Dio per il conforto e l’aiuto, come Anna ha fatto, o cercare di gestire le cose a modo nostro.
Perside (Περσίς, Persìs, “persiana”)
“Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore. Salutate la cara Perside che si è affaticata molto nel Signore”. – Rm 16:12.
Nei suoi saluti ai confratelli di Roma, Paolo non dimentica questa discepola, che definisce τὴν ἀγαπητήν (ten agapetèn), “l’amata”, reso con i deboli “cara” di NR e “diletta” di TNM (cui questa versione aggiunge “nostra”, del tutto assente nel testo biblico). Paolo dice di lei che “si è affaticata molto nel Signore”.
Prima moglie di Sansone (אִשָּׁה, ishàh, “donna”)
Il libro di Gdc riporta molti avvenimenti inquietanti in cui le donne furono vittime. Alcuni commentatori hanno ipotizzato che questa preoccupazione per la difficile situazione delle donne rifletta un autore di sesso femminile.
Una di queste storie coinvolge Sansone, con un riferimento inquietante a Dio.
“Sansone scese a Timna e vide là una donna tra le figlie dei Filistei” (Gdc 14:1). Come per molte delle donne nella Bibbia, non viene detto il nome di questa donna. Le prime notizie che abbiamo su di lei riguardano il suo gruppo etnico: lei era una filistea. I filistei erano oppressori degli israeliti. Erano anche uno dei gruppi con cui agli israeliti era proibito sposarsi. – Es 34:14-16; Dt 7:1-4.
Il nome Palestina (in latino, lingua dei romani, Syria Palestina) deriva proprio dai filistei. In ebraico biblico è פּלשת (Pelèshet) o ארץ פּלשתיים (èrets pelishtiyìm), “terra dei filistei”; in ebraico moderno è פלשתינה (Palestìna) o ארץ־ישראל (èrets Yisraèl); in arabo è فلسطين (Filasṭīn). Per approfondimenti si veda l’Excursus – I veri palestinesi, nella categoria Teologia biblica della sezione La Bibbia.
“Tornato a casa, [Sansone] ne parlò a suo padre e a sua madre, e disse: ‘Ho visto a Timna una donna tra le figlie dei Filistei; prendetemela dunque per moglie’. Suo padre e sua madre gli dissero: ‘Non c’è tra le figlie dei tuoi fratelli in tutto il nostro popolo una donna per te? Devi andare a prenderti una moglie tra i Filistei incirconcisi?’ Sansone rispose a suo padre: ‘Prendimi quella perché mi piace’. Suo padre e sua madre non sapevano che questo veniva dal Signore; Sansone infatti cercava un’occasione di contesa da parte dei Filistei. In quel tempo, i Filistei dominavano Israele. Poi Sansone scese con suo padre e sua madre a Timna”. – Gdc 14:2-5.
Da questo punto, questa donna appare solo come vago accenno nella storia. Non l’abbiamo conosciuta, non sappiamo il suo nome. In realtà, non sa nemmeno lei il ruolo che deve avere. Eppure, ci viene detto che Dio ha determinato questi eventi: “Suo padre e sua madre non sapevano che questo veniva dal Signore”. Ci viene alla mente Gs 11:20: “Il Signore faceva sì che il loro cuore si ostinasse a dar battaglia a Israele, perché Israele li votasse allo sterminio senza che ci fosse pietà per loro, e li distruggesse come il Signore aveva comandato a Mosè”.
“Suo padre scese a trovare quella donna e là Sansone fece un convito; perché tale era il costume dei giovani” (Gdc 14:10). A quanto pare, a malincuore, il padre di Sansone s’impegna a predisporre il matrimonio. Invece di andare con il padre a vedere la sposa, Sansone va a far festa con gli amici. Ciò non è molto chiaro nella traduzione di NR; meglio PdS: “Suo padre andò nella casa della ragazza, e Sansone offrì un banchetto”; incomprensibile TNM: “Suo padre continuò a scendere dalla donna”.
Durante questa lunga baldoria, Sansone, che appare come un ragazzone poco maturo, presenta con arroganza ai filistei un enigma da risolvere, mettendo in palio un premio: “Sansone disse loro: ‘Io vi proporrò un enigma; se voi me lo spiegate entro i sette giorni del convito e se l’indovinate, vi darò trenta tuniche e trenta vesti; ma, se non me lo potete spiegare, darete trenta tuniche e trenta vesti a me’” (Gdc 14:12,13). Non sorprende che i filistei siano determinati a vincere il premio dell’arrogante israelita. – Gdc 14:14.
“[Sansone] disse loro: ‘Dal mangiatore è uscito del cibo, e dal forte è uscito il dolce’. Per tre giorni quelli non poterono spiegare l’enigma. Il settimo giorno dissero alla moglie di Sansone: ‘Tenta tuo marito affinché ci spieghi l’enigma; se no, daremo fuoco a te e alla casa di tuo padre. E che? ci avete invitati per spogliarci?’”. – Gdc 14:14,15.
Gli eventi successivi dimostrano che questa minaccia era reale. La moglie di Sansone ha di fronte una scelta poco invidiabile: tradire la fiducia del marito oppure non solo essere bruciata lei stessa ma anche veder bruciata la casa di suo padre. Nelle culture occidentali, si tende a pensare al periodo moderno come più violento di altri periodi della storia. Tuttavia, la maggior parte delle persone non vive in una società in cui si bruciano le donne a morte. In Scozia, durante il Medioevo, per esempio, un vanto comune per dimostrare la civiltà del sistema giuridico scozzese era racchiuso nel detto: “Almeno noi li strangoliamo, prima di bruciarli”. Talmente dolorosa è la morte nel fuoco, che strangolare prima un condannato era veramente una grazia! Dura, dunque, la scelta che si trovò di fronte questa donna – in realtà, probabilmente una ragazza di 12-14 anni, l’età in cui le ragazze di allora si sposavano. In più, a differenza delle persone di oggi, aveva probabilmente già assistito a tali atti di violenza.
“La moglie di Sansone si mise a piangere presso di lui e a dirgli: ‘Tu non hai per me che dell’odio e non mi ami; hai proposto un enigma ai figli del mio popolo, e non me l’hai spiegato!’ Egli a lei: ‘Ecco, non l’ho spiegato né a mio padre né a mia madre e lo spiegherei a te?’” (Gdc 14:16). La risposta di Sansone sembra molto strana alla luce del comando di Gn 2:24: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne”. La sua non risposta appare come una fedeltà al suo ego, non tenendo in alcun conto sua moglie. S’inquadra nella personalità di un sempliciotto.
“Lei pianse presso di lui, per i sette giorni che durava il convito; il settimo giorno Sansone glielo spiegò, perché lo tormentava; e lei spiegò l’enigma ai figli del suo popolo. Gli uomini della città, il settimo giorno, prima che tramontasse il sole, dissero a Sansone: ‘Cos’è più dolce del miele? e chi è più forte del leone?’ Egli rispose loro: ‘Se non aveste arato con la mia giovenca, non avreste indovinato il mio enigma’. Lo Spirito del Signore lo investì ed egli scese ad Ascalon, vi uccise trenta uomini, prese le loro spoglie e diede le vesti a quelli che avevano spiegato l’enigma. Poi, acceso d’ira, risalì a casa di suo padre” (Gdc 14:17-19). A quanto pare, Sansone dà la colpa a sua moglie, ma non le domanda perché lei lo abbia tradito. In compenso è preso da una follia omicida e si procura le vesti che aveva messo in palio quale premio .
“La moglie di Sansone fu data al compagno, che egli si era scelto per amico” (Gdc 14:20). Credendo che Sansone non volesse più sua figlia, il padre della ragazza la dà all’amico di Sansone. Così lei ora diventa la moglie di un uomo forse migliore.
“Al tempo della mietitura del grano, Sansone andò a visitare sua moglie, le portò un capretto e disse: ‘Voglio entrare in camera da mia moglie’. Ma il padre di lei non gli permise di entrare e gli disse: ‘Io credevo sicuramente che tu l’avessi presa in odio, perciò l’ho data al tuo compagno; sua sorella minore non è più bella di lei? Prendila dunque al suo posto’” (Gdc 15:1,2). Dunque Sansone torna dalla moglie, ma … non subito. La Bibbia ci dice che lui attese il tempo del raccolto per andare a trovarla. La Legge di Mosè richiedeva che un marito desse non solo un sostegno materiale alla moglie, ma rispettasse anche i suoi diritti coniugali. Che fece Sansone in tutto quel frattempo? Potremmo anche, a questo punto, domandarci perché Sansone aveva sposato quella donna. A questa domanda la risposta, alquanto deludente, l’abbiamo da lui stesso, dato che aveva detto ai suoi genitori: “Ho visto a Timna una donna tra le figlie dei Filistei; prendetemela dunque per moglie”. Gli era piaciuta, e tanto bastava. Una volta appreso che sua moglie era stata data a qualcun altro, lui fu preso da un’altra follia omicida, nonostante l’offerta di poter avere in moglie sua cognata. “Sansone se ne andò e catturò trecento sciacalli; prese pure delle fiaccole, mise gli sciacalli coda contro coda e una fiaccola in mezzo, fra le due code. Poi accese le fiaccole, fece correre gli sciacalli per i campi di grano dei Filistei e bruciò i covoni ammassati, il grano ancora in piedi e perfino gli uliveti”. – Gdc 15:4,5.
“I Filistei chiesero: ‘Chi ha fatto questo?’ Fu risposto: ‘Sansone, il genero del Timneo, perché questi gli ha preso la moglie e l’ha data al compagno di lui’. I Filistei salirono e bruciarono lei e suo padre”. – Gdc 15:6.
Sarcasticamente, ci verrebbe da dire: Questi sì che erano uomini. Nonostante i suoi tentativi di salvare se stessa e la sua famiglia, la donna finisce per essere bruciata. All’inizio, abbiamo detto che la Bibbia riporta qualcosa d’inquietante circa Dio. La Bibbia ci dice espressamente Dio si è servito del matrimonio di Sansone con la donna filistea per raggiungere i suoi scopi. Perché permise che questa donna soffrisse le conseguenze di questo piano? Non abbiamo la risposta a questa domanda.
Principessa (שָׂרָתִי, saràty, “era una principessa” )
“Come siede solitaria la città una volta tanto popolosa! È diventata simile a una vedova, lei che era grande fra le nazioni; è stata ridotta tributaria, lei che era principessa fra le province!”. – Lam 1:1.
La parola ebraica שרה (saràh), “principessa”, era anche il nome di Sara, moglie di Abraamo (Gn 17:15). Qualcuno vorrebbe far derivare questa parola dall’antico Egitto: sa significa “figlia” e Rah era il dio Sole, quindi sarebbe “figlia di Rah”, considerata ovviamente una principessa. Questa ci pare però un’ipotesi non sostenuta dalla storia. Sara veniva dalla Mesopotamia (Gn 12:4,5) e quando si recò in Egitto col marito si chiamava ancora Sarai, שָׂרָי, Sarày, “mia principessa” (Gn 12:11-20). Fu poi Dio a cambiarle il nome in שרה, Saràh (Gn 17:15), dando questa spiegazione: “La benedirò e diventerà nazioni; re di popoli usciranno da lei” (v. 16). Lei non sarebbe più stata semplicemente la principessa di Abraamo (Sarày = “mia principessa”), ma la Saràh, la “principessa” simbolica dei “popoli” da lei derivati. Il nome שרה (Saràh) è il femminile di שָׂר (sar), “principe”, applicato in Is 9:6 (nel Testo Masoretico al v. 5) a Yeshùa, “principe della pace”: שַׂר־שָׁלֹום (sar-shalòm). In Gal 4:31 Paolo dice che i discepoli di Yeshùa sono figli di Sara, “la donna libera”.
La stessa parola שרה (saràh) denota anche una donna saggia, intelligente, tenace e lungimirante. Così è in Gdc 5:29 in cui appaiono “le più sagge [שָׂרֹות (saròt)]” delle dame della madre di Sisera, appellativo usato sarcasticamente da Debora nel suo cantico in Gdc 5. Nel passo di Lam 1:1 è pure usata ironia, questa volta amaramente: il profeta Geremia piange su Gerusalemme desolata.
Principesse (שָׂרֹות, saròt, “principesse” )
“[Salomone] ebbe settecento principesse per mogli e trecento concubine”. – 1Re 11:3.
Priscilla (Πρισκίλλα, Priskìlla, “antica”)
“Qui trovò un ebreo, di nome Aquila, oriundo del Ponto, giunto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma”. – At 18:2.
Il nome Priscilla è il diminutivo di Πρίσκα (Prìska). La sua origine è romana. L’aggettivo latino priscus significa “antico/vecchio”. Così, ad esempio, il quinto re di Roma Lucio Tarquinio Prisco è chiamato anche Tarquinio il Vecchio. Nella Bibbia, il nome “Prisca” è usato da Paolo, mentre il suo diminutivo “Priscilla” è usato da Luca.
Questa donna era la moglie di Aquila. È interessante notare che Aquila non è mai menzionato senza citare la moglie, segno che la coppia era davvero affiatata. Il nome di Prisca prende spesso il primato su quello del marito: “Salutate Prisca e Aquila” (Rm 16:3); “Saluta Prisca e Aquila” (2Tm 4:19). Priscilla doveva essere anche un’ottima insegnante, giacché istruì, insieme ad Aquila suo marito, Apollo, un ebreo di Alessandria d’Egitto dotato di eloquenza e di ottima conoscenza delle Scritture Ebraiche (cfr. 1Cor 3:6). “Priscilla e Aquila, dopo averlo udito, lo presero con loro e gli esposero con più esattezza la via di Dio” (At 18:26). Si noti come il nome di Priscilla precede quello del marito.
A metà del 1° secolo, Claudio (quarto imperatore di Roma) aveva emanato un decreto con cui espelleva dalla capitale dell’impero tutti i giudei (cfr. Svetonio, Le vite di dodici Cesari, V, 25). Quando Luca dice che Paolo “qui trovò un ebreo” (At 18:2), si riferisce a Corinto (At 18:1), importante città della Grecia antica. Priscilla era giunta lì con il marito da poco, proprio a seguito dell’espulsione da Roma. “Essendo del medesimo mestiere, [Paolo] andò ad abitare e a lavorare con loro [Aquila e Priscilla]. Infatti, di mestiere, erano fabbricanti di tende”. – At 18:3.
Da Corinto si spostarono ad Efeso, in Asia Minore (attuale Turchia): “[Paolo] s’imbarcò per la Siria con Priscilla e Aquila. Quando giunsero a Efeso, Paolo li lasciò là” (At 18:18,19). A Efeso Priscilla e Aquila istruirono Apollo (At 18:18,19,24-28; 1Cor 16:19). Dopo un viaggio a Roma (Rm 16:3-5) si recarono di nuovo a Efeso (2Tm 4:19; 1Tm 1:3). “Prisca e Aquila” – dice Paolo – “hanno rischiato la vita per me”, e aggiunge che non solo lui è loro grato, “ma anche tutte le chiese delle nazioni”. – Rm 16:3,4.
Nella casa dei due si riuniva anche una congregazione dei discepoli di Yeshùa. – 1Cor 16:19.
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che Priscilla sia l’autrice del libro biblico di Eb (cfr. E. Preuschen, 1900, Berlino; Ruth Hoppin, Trovare l’Autore della Lettera agli Ebrei, Lost Coast Press, 2000). Di certo quella che è chiamata “lettera di Paolo agli ebrei” non è una lettera, non è di Paolo e non è indirizzata agli ebrei, ma da qui ad affermare che sia di Priscilla ce ne corre.
Ora si noti Rm 16:3: “Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù”. Il lettore frettoloso forse non ci fa caso, ma qui Paolo usa il termine “collaboratori”, mettendo prima il nome di Priscilla. La parola tradotta “collaboratore” è in greco συνεργός (sünergòs), “compagno di lavoro” o “collega”. Si tratta di un termine tecnico che Paolo riserva ai suoi più stretti compagni di servizio, come Filemone (Flm 1) e Luca (Flm 24). Priscilla era tra questi, ancor prima del marito.
Profetessa – definizione (ebraico: נְּבִיאָה, nevyàh; greco: προφῆτις, profeti; “profetessa”)
Sia nella lingua ebraica che in quella greca esiste un’apposita parola per indicare la donna profeta; come in italiano: profetessa. In genere, l’ignoranza popolare immagina che un profeta sia qualcuno cui Dio mostri il futuro. Profeta è, nel linguaggio popolare, sinonimo di indovino dell’avvenire. Nella Bibbia non è esattamente così. Sebbene l’etimologia della parola ebraica che designa il/la profeta/profetessa sia incerta, quella greca è chiara. La parola greca deriva da προ (pro), “prima/davanti”, e dal verbo φημί (femì), “dire”. La parola “profeta” – e, quindi, “profetessa” – designa una persona che, mossa dallo spirito di Dio, diviene la sua voce e il suo organo, e solennemente dichiara agli uomini quello che ha ricevuto sotto inspirazione. In pratica, si tratta di un/una portavoce di Dio. Al di là dell’etimologia, questo è senso che la parola assume nella Scrittura, come si deduce chiaramente dall’uso che in essa se ne fa (1Re 12:22;17:1; 2Re 4:9;23:17; Ger 23:18; Am 3:7; Tit 1:12). Pur annunciando messaggi divini che implicavano il futuro, non era questa la loro funzione basilare.
La prima volta che il termine ebraico נָבִיא (navì), “profeta”, appare nella Bibbia, è riferito ad Abraamo. Quando Dio intimò ad Abimelec, re di Gherar, di restituire ad Abraamo sua moglie Sara che il re aveva rapito, gli dice: “Restituisci la moglie a quest’uomo, perché è profeta, ed egli pregherà per te, e tu vivrai. Ma, se non la restituisci, sappi che sicuramente morirai” (Gn 20:7). Come si nota qui, la spiegazione data da Dio implicava che Abraamo, essendo profeta, potesse pregare a favore del re di Gherar. Ciò non coinvolgeva la predizione del futuro. Ancora più chiaro è il senso di “profeta” che appare da Es 4:16-16, quando Dio, di fronte alla preoccupazione di Mosè di non essere in grado di sostenere un colloquio con il faraone egizio, gli dice: “Non c’è Aaronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene . . . Tu gli parlerai e gli metterai le parole in bocca. Io sarò con la tua bocca e con la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; così ti servirà da bocca e tu sarai per lui come Dio”. L’essere di Aaronne la “bocca” di Mosè illustra bene l’essere profeta o portavoce: “Io ti ho stabilito come Dio per il faraone e tuo fratello Aaronne sarà il tuo profeta” (Es 7:1). La stessa sorella di Mosè è detta “profetessa” (Es 15:20). Lei ed Aaronne, che predizioni non ne fecero, “dissero: ‘Il Signore ha parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?”. – Nm 12:2.
Oltre alla sorella di Mosè, “la profetessa” (Es 15:20), la Bibbia menziona altre profetesse. Debora fu una di queste (Gdc 4:4-7; 5:7); lei è definita “madre in Israele” (Gdc 5:7). Altre profetesse furono Culda (2 Re 22:14) e Anna (Lc 2:36), nonché quella nominata in Is 8:3. Pur se Neemia parlò in modo negativo della profetessa Noadia, che cercò di spaventarlo, nulla fa pensare che lei non fosse riconosciuta come profetessa (Nee 6:14). Ci furono anche false profetesse, come quelle menzionate in Ez 13:17-19. – Cfr. Ez 13:20-23.
“Avverrà che io spargerò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno” (Gle 2:28). Ciò accadde nel giorno di Pentecoste dopo la morte di Yeshùa (At 2:11-40). Le quattro figlie di Filippo erano profetesse (At 21:9). Si noti che le donne non sono escluse. E si noti anche che pure qui il profetizzare non implicava la predizione del futuro. “Chi profetizza” – spiega Paolo – “parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione”. – 1Cor 14:3.
Nella primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa c’erano donne profetesse (1Cor 11:5; At 21:9), proprio come nell’antichità di Israele. Il profetizzare faceva parte dei doni dello spirito (1Cor 12:4-11). I profeti e le profetesse venivano subito dopo gli apostoli. – 1Cor 12:27-29; cfr. 1Cor 12:28; Ef 4:11.
Si vedano, per approfondimento, i nostri studi nella categoria Il profetismo della sezione La Bibbia.
Profetessa di Isaia (נְּבִיאָה, nevyàh, “profetessa”)
“Mi unii pure alla profetessa, e lei concepì e partorì un figlio. Allora il Signore mi disse: ‘Chiamalo <Affrettate il saccheggio. Presto al bottino>’”. – Is 8:3.
Una frase breve, in cui si rivela l’importante ruolo di una donna. Questa donna era una profetessa. Isaia stesso, che pronuncia la frase, era un profeta di Dio. Isaia non teme di sminuire il suo ruolo di profeta e non ha paura di lei che è nel suo medesimo ruolo. Per quanto riguarda lei, il suo ruolo di profetessa non sminuisce il suo ruolo di madre. A volte diverse sette che si definiscono cristiane temono che la partecipazione di una donna possa intaccare chissà cosa nel servizio a Dio. Isaia non si preoccupò.
Per ciò che riguarda l’identificazione di questa donna rimandiamo al sottotitolo L’identificazione della donna e del bambino del nostro studio intitolato La vergine partoriente di Is 7:14 , presente nella sezione Esegesi biblica, categoria Scritture Ebraiche.
Prostituta – definizione (ebraico: זֹונָה, sonàh; greco: πόρνη, pòrne; “puttana”)
La prostituta è una donna che offre il proprio corpo per prestazioni sessuali a scopo di lucro. L’Insegnamento (Toràh) di Dio depreca la prostituzione: “Non profanare tua figlia, prostituendola” (Lv 19:29). Che il sesso sia una cosa seria riservata unicamente al matrimonio è indicato anche da un comandamento specifico, il settimo (Es 20:14; Dt 5:18; cfr. Gn 2:24; Mt 19:4-6), pena la morte (Lv 20:10). Tutta una serie di disposizioni bibliche è tesa a salvaguardare la purezza di una donna. – Dt 22:13-21,23,24,28,29; Es 22:16,17.
Date le alte norme morali in Israele, in genere le prostitute erano donne straniere, sebbene con alcune poche eccezioni. Ovviamente, coloro andavano con queste prostitute straniere erano uomini ebrei. Per le prostitute sacre, ovvero quelle che si prostituivano facendo del sesso come parte di un culto pagano, la Bibbia usa la parola קְּדֵשֹׁות (qedeshòt), come in Os 4:14 (“prostitute del tempio” per TNM). In Pr 2:16;5:20;7:5;22:14;23:27 si trova una serie di consigli per scongiurare la frequentazione di questo tipo di donne. Nella Toràh (l’Insegnamento) vigeva il divieto per i sacerdoti di sposare una prostituta e se una delle loro figlie lo diventava, doveva essere giustiziata e poi bruciata; le offerte da parte di una prostituta non erano accettate nel Tempio. – Lv 21:7,9,14; Dt 23:18.
Ben diversa era la situazione presso gli altri popoli antichi. “La più deprecabile delle consuetudini che ci sono fra i babilonesi è questa. È d’obbligo che ogni donna del paese, una volta durante la vita, vada nel recinto sacro ad Afrodite si unisca con uno straniero” (Erodoto, I, 199). – Cfr. 1Re 14:23,24;15:12;22:46.
La sapienza d’Israele era pratica. Al di là dell’aspetto morale ed etico, c’è realismo nel proverbio che afferma che “chi frequenta le prostitute dilapida i suoi beni”. – Pr 29:3.
Di fronte all’ipocrisia dei sacerdoti e degli anziani del popolo, Yeshùa affermò: “I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio” (Mt 21:31). La Bibbia ci ha lasciato l’esempio di “Raab, la prostituta” che fu “giustificata per le opere” (Gc 2:25; si veda la voce Raab). “La voce dei miracoli compiuti dal Dio vivente a favore di Israele aveva prodotto una notevole impressione [in Raab], cosicché non solo rivelò alle spie lo scoramento dei cananei, ma, confidando nella potenza del Dio d’Israele, nascose le spie braccate dai suoi concittadini [cfr. Gs 2:1], sebbene con grande rischio per la propria incolumità”. – C. F. Keil, F. Delitzsch, Commentary on the Old Testament, 1973, vol. 2, Giosuè, pag. 34.
La Bibbia parla anche di prostituzione in senso spirituale. Ciò s’innesta nell’immagine di Dio quale marito di Israele. In questo senso, quando il popolo di Dio si allontanava da lui era come se si prostituisse (Is 54:5,6). La stessa capitale di Israele, Gerusalemme, “la città del Signore” (Is 60:14) di cui Dio era lo “sposo” (Is 54:5), venne paragonata ad una puttana. Anzi, peggio: “A tutte le prostitute si fanno regali; ma tu hai dato regali a tutti i tuoi amanti, li hai sedotti con i doni, perché venissero a te, da tutte le parti, per le tue prostituzioni. Con te, nelle tue prostituzioni è avvenuto il contrario delle altre donne; poiché non eri tu la sollecitata; in quanto tu pagavi, invece di essere pagata, facevi il contrario delle altre”. – Ez 16:33,34.
Nell’ambito della prostituzione spirituale, la figura peggiore è la “grande prostituta che siede su molte acque” (Ap 17:1). Con questa donna simbolica “i re della terra hanno fornicato” e “gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione” (v. 2). “Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra”. – Ap 17:5; si veda la voce Babilonia la grande.
Prostituta di Gaza (אִשָּׁה זֹונָה, ishàa sonàh, “donna prostituta”)
“Sansone andò a Gaza, vide là una prostituta ed entrò da lei”. – Gdc 16:1.
Questa è un’altra donna di cui si sa poco. Sappiamo che a Gaza si cercò di tendere una trappola a Sansone: “Fu detto a quelli di Gaza: ‘Sansone è venuto qua’. Essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città e tutta quella notte rimasero quieti e dissero: ‘Allo spuntar del giorno l’uccideremo’” (Gdc 16:2). Ma non riuscirono a perderlo perché “Sansone rimase a letto fino a mezzanotte; e a mezzanotte si alzò”. – Gdc 16:3.
Questo piccolo passo biblico, preso nel contesto della storia di Sansone e Dalila, può aiutarci a scoprire i pregiudizi che a volte si creano. Molti sanno di Dalila e sanno che lei ingannò e tradì Sansone. Mentre lui appare come il devoto innocente che fu crudelmente ingannato, Dalila è la perfida ingannatrice. Forse anche questa prostituta appare come una donna malefica. La Bibbia però focalizza altro, se guardiamo meglio a questa storia. Forse la Bibbia, anziché metterci in guardia contro il male che potrebbe provenire dalle donne, ci dà un avvertimento circa le nostre debolezze. Sansone, per seguire i suoi desideri sessuali si mise in pericolo. Per voler stare con quella prostituta si trovò nei guai a Gaza. Si mise nei guai anche con Dalila. Fece la stessa cosa più volte.
Prostitute che fanno il bagno (הַזֹּנֹות, hasonòt, “le prostitute”)
“Quando si lavò il carro presso lo stagno di Samaria – in quell’acqua si lavavano le prostitute – i cani leccarono il sangue di Acab, secondo la parola che il Signore aveva pronunciata”. – 1Re 22:38.
La storia che riguarda Acab è tra le peggiori riguardo all’adorazione di Dio. Quest’uomo malvagio profanò la pura adorazione col culto dei vitelli d’oro e permise un’adorazione di Baal senza eguali in Israele.
Durante la sua ultima impresa, dei falsi profeti gli assicurarono il successo, mentre il vero profeta Micaia gli predisse il disastro. Acab fece allora arrestare Micaia e sferrò l’attacco. Fu colpito da una freccia e morì dissanguato. Il suo corpo fu trasportato a Samaria per la sepoltura e mentre lavavano il carro “presso lo stagno di Samaria”, “i cani leccarono il sangue di Acab”. L’agiografo annota che “in quell’acqua si lavavano le prostitute” – 1Re 22:1-38.
Pua (פּוּעָה, Puàh; “luminosità”)
“Sorse sopra l’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: ‘Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più potente di noi. Usiamo prudenza con esso, affinché non si moltiplichi e, in caso di guerra, non si unisca ai nostri nemici per combattere contro di noi e poi andarsene dal paese’. Stabilirono dunque sopra Israele dei sorveglianti ai lavori, per opprimerlo con le loro angherie. Israele costruì al faraone le città che servivano da magazzini, Pitom e Ramses. Ma quanto più lo opprimevano, tanto più il popolo si moltiplicava e si estendeva; e gli Egiziani nutrirono avversione per i figli d’Israele. Così essi obbligarono i figli d’Israele a lavorare duramente. Amareggiarono la loro vita con una rigida schiavitù, adoperandoli nei lavori d’argilla e di mattoni e in ogni sorta di lavori nei campi. Imponevano loro tutti questi lavori con asprezza. Il re d’Egitto parlò anche alle levatrici ebree, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua, e disse: ‘Quando assisterete le donne ebree al tempo del parto, quando sono sulla sedia, se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, lasciatela vivere’. Ma le levatrici temettero Dio, non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro e lasciarono vivere anche i maschi. Allora il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: ‘Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i maschi?’ Le levatrici risposero al faraone: ‘Le donne ebree non sono come le egiziane; esse sono vigorose e, prima che la levatrice arrivi da loro, hanno partorito’. Dio fece del bene a quelle levatrici. Il popolo si moltiplicò e divenne molto potente. Poiché quelle levatrici avevano temuto Dio, egli fece prosperare le loro case. Allora il faraone diede quest’ordine al suo popolo: ‘Ogni maschio che nasce, gettatelo nel Fiume, ma lasciate vivere tutte le femmine’”. – Es 1:8-22.
Questo inizio di Es riporta uno spaventoso pregiudizio razziale e un tentato genocidio.
Sifra e Pua dovettero affrontare una difficile decisione: obbedire a un uomo molto potente e autorevole o temere il Dio di Israele? Sifra e Pua, due levatrici ebree, ebbero difficoltà ad applicare la decisione del faraone: “Le levatrici temettero Dio”. “Non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro e lasciarono vivere anche i maschi”. Queste due donne sfidarono l’autorità, nonostante la possibilità di sanzioni gravissime per la loro disobbedienza.
Spesso alle donne credenti viene fatto capire che loro avrebbero un discernimento spirituale inferiore a quello dei loro fratelli in fede; secondo i membri maschi (e maschilisti) che dirigono le comunità, le donne sarebbero inclini a ingannarsi. Tuttavia, queste due donne ebree mostrarono ottimo discernimento, anche quando ciò comportava la ribellione all’autorità. “Dio fece del bene a quelle levatrici”.
In At 5:27-29 Pietro prese una decisione simile: “Li presentarono al sinedrio; e il sommo sacerdote li interrogò, dicendo: ‘Non vi abbiamo forse espressamente vietato di insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina, e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo’. Ma Pietro e gli altri apostoli risposero: ‘Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini’”. – Cfr. Dn 3:1-30;6:10-28.