Vasti (וַשְׁתִּי, Vashtì, “bella”, di origine persiana)

“Per ordine del re nessuno doveva essere forzato a bere; infatti il re aveva ordinato a tutti i nobili della sua casa di lasciar fare a ciascuno secondo la propria volontà. Anche la regina Vasti fece un convito per le donne nella reggia del re Assuero”. – Est 1:8,9.

   In termini moderni, il re e i suoi cortigiani fecero baldoria. Il re dispose che il suo popolo potesse fare ciò che voleva. Allo stesso tempo, Vasti provvide cibo e divertimento (anche se meno eccessivo di quello degli uomini) per le donne di corte.

   “Il settimo giorno, il re, che aveva il cuore reso allegro dal vino, ordinò a Meuman, a Bizta, a Carbona, a Bigta, ad Abagta, a Zetar e a Carcas, i sette eunuchi che servivano in presenza del re Assuero, che conducessero davanti a lui la regina Vasti con la corona reale, per far vedere al popolo e ai nobili la sua bellezza; perché era bella d’aspetto. Ma quando gli eunuchi riferirono l’ordine del re alla regina Vasti, lei rifiutò di venire. Il re ne fu irritatissimo, e l’ira divampò in lui”. – Est 1:10-12.

   Molti cosiddetti cristiani hanno criticato Vasti per aver rifiutato di comparire al comando di suo marito. Tuttavia, si consideri la scena: non solo il re e i suoi compari avevano gozzovigliato facendo bagordi e sbevazzando, ma avevano anche fatto “a piacimento di ciascuno” (v. 8, TNM). Vediamo la scena nella piacevolissima traduzione di PdS: “Il vino era abbondante proprio come si usa in un banchetto regale. Si poteva bere con libertà”. – Est 1:7,8.

   Possiamo immaginare uomini venuti meno per il troppo bere e crollati sul pavimento, altri molto alticci, altri ubriachi tra le braccia di cortigiane di palazzo. Nella confusione mentale dovuta al suo annebbiamento, il re chiede la presenza della sua regina. Egli vuole che lei faccia una sfilata davanti ai suoi convitati, per esibire la sua bellezza.

   Vasti era regina in una società in cui la modestia in una donna era apprezzata sopra ogni cosa. Al comando di suo marito di sfilare davanti a degli ubriachi che stornellano da sbronzi, lei si rifiuta. Lungi dall’essere un atteggiamento da donna ribelle, questa fu l’azione di una regina davvero tale, rifiutando di mostrare se stessa in una condizione d’imbarazzo, di disagio e di vergogna solo per compiacere il marito ubriaco.

   “Allora il re interrogò i saggi che avevano la conoscenza dei tempi, poiché gli affari del re si trattavano così in presenza di quanti conoscevano la legge e il diritto. I più vicini a lui erano Carsena, Setar, Admata, Tarsis, Meres, Marsena e Memucan, sette prìncipi di Persia e di Media che vedevano la faccia del re e occupavano i primi posti nel regno. Il re chiese: ‘In base alla legge, che cosa si deve fare alla regina Vasti che non ha voluto eseguire l’ordine datole dal re Assuero per mezzo degli eunuchi?’ Memucan rispose in presenza del re e dei prìncipi: ‘La regina Vasti ha mancato non solo verso il re, ma anche verso tutti i prìncipi e tutti i popoli che sono in tutte le provincie del re Assuero. Infatti quello che la regina ha fatto lo verranno a sapere tutte le donne e ciò le spingerà a disprezzare i loro mariti; poiché esse diranno: Il re Assuero aveva ordinato che si conducesse in sua presenza la regina Vasti, ma lei non è andata. Da ora in avanti le principesse di Persia e di Media, che avranno udito il fatto della regina, ne parleranno a tutti i prìncipi del re e ne risulteranno grande disprezzo e molto sdegno’”. – Est 1:13-18.

   Da non credere. Il re è molto contrariato per il rifiuto di Vasti. Invece di risolvere il problema con la moglie, si rivolge ai suoi avvocati. Gli avvocati decidono che le azioni di Vasti potrebbero andare al di là dei semplici problemi coniugali del re, ma potrebbero diventare un vero disastro nazionale! Se Vasti non obbedisce al marito, le altre donne potrebbero non obbedire più ai loro mariti. Sarebbe la catastrofe, poveri mariti! Esse potrebbero, infatti, “disprezzare i loro mariti”, grave reato di lesa mascolinità. Chiaramente, la Bibbia sta ridicolizzando l’eccessiva reazione di questi uomini che temono che “da ora in avanti le principesse di Persia e di Media, che avranno udito il fatto della regina, ne parleranno a tutti i prìncipi del re e ne risulteranno grande disprezzo e molto sdegno”. Il rifiuto di Vasti creerà improvvisamente ribellione, non solo nei confronti dei mariti, ma contro lo Stato! Da problema fra marito e moglie, la cosa è cresciuta non solo fino a minacciare il rapporto di altri mariti con le loro mogli, ma anche fino a creare una gravissima minaccia per la sicurezza nazionale.

   “Se il re è d’accordo, emani un decreto reale, lo faccia iscrivere tra le leggi di Persia e di Media in modo che sia irrevocabile, per il quale Vasti non possa più comparire in presenza del re Assuero, e il re conferisca la dignità reale a una sua compagna migliore di lei. Quando il decreto emanato dal re sarà conosciuto nell’intero suo regno che è vasto, tutte le donne renderanno onore ai loro mariti, dal più grande al più piccolo”. – Est 1:19,20.

   Si potrebbe sarcasticamente commentare: questi sì che erano uomini! In risposta alla minaccia che incombe, gli avvocati elaborano niente meno che nuove leggi. Il primo comma stabilisce che Vasti, la regina, “non possa più comparire in presenza del re Assuero”. Lei perderebbe poi non solo il gran “privilegio” di entrare in presenza del re, ma il suo stesso titolo. La prima conseguenza della sanzione (entrare in presenza del re) è una punizione dubbia: chissà, la regina avrebbe potuto accoglierla con sollievo. La seconda conseguenza probabilmente avrebbe fatto diminuire la sua posizione a palazzo, dato che il re doveva conferire “la dignità reale a una sua compagna migliore di lei”. Eppure, c’è un gran bel vantaggio nel decreto: “Tutte le donne renderanno onore ai loro mariti”. Così quei maschilisti si sentiranno di nuovo dei grand’uomini!

   Un re pagano, consigliato da avvocati pagani, alla fine decreta, “così mandò lettere a tutte le provincie del regno, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere e a ogni popolo secondo la sua lingua, perché ogni uomo fosse padrone in casa sua”. – Est 1:22.

   ‘Ogni uomo sia padrone in casa sua’ o, per dirla pomposamente con TNM, ‘ogni marito agisca di continuo come principe nella sua propria casa’. Questa legge, emanata da un maschilista pagano sobillato da altri maschilisti pagani, è tuttora legge in molte case cosiddette cristiane.

Vedova che offrì due spiccioli (χήρα, chèra, “vedova”)

“Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo”. – Mr 12:42.

   Questa povera donna non passò inosservata a Yeshùa. “Sedutosi di fronte alla cassa delle offerte, Gesù guardava come la gente metteva denaro nella cassa; molti ricchi ne mettevano assai. Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo. Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: ‘In verità io vi dico che questa povera vedova ha messo nella cassa delle offerte più di tutti gli altri: poiché tutti vi hanno gettato del loro superfluo, ma lei, nella sua povertà, vi ha messo tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere’”. – Mr 12:41-44.

   La scena si svolge nel cortile delle donne, dentro il Tempio di Gerusalemme. Per accedere al cortile delle donne si dovevano salire 14 gradini. Era nel cortile delle donne che si trovavano le casse del tesoro (Yeshùa era presso una di queste casse quando osservò la povera vedova): lungo il muro del cortile erano posizionati tredici recipienti a forma di imbuto rovesciato, detti anche “trombe”. Erano tredici in rapporto alla diversa destinazione delle offerte. L’offerente doveva dichiarare al sacerdote l’entità del suo contributo e il sacerdote – mentre l’offerente gettava i denari – gridava l’importo. – Mishnà, Shekal’m 2:1;6:1,5.

   Il dieci per cento di tutte le entrate ogni ebreo doveva devolverlo al Tempio (Lv 27:30.32). Con questo denaro venivano pagati i servitori del Tempio, i leviti. A loro volta, anche i leviti dovevano dare il dieci per cento delle loro entrate. – Nm 18:21, 25-30.

   Siamo vicini alla Pasqua, quella in cui Yeshùa fu ucciso. Ora egli si trova nel Tempio di Gerusalemme. Quel giorno doveva esserci molta gente: ebrei prove­nienti da ogni parte del mondo conosciuto si stavano accalcan­do nella città santa. Per la Pasqua ogni ebreo voleva trascorrere i giorni di festa nella città santa. La Legge prescriveva che si facesse a Pasqua il primo dei tre pellegrinaggi annuali a Gerusalemme (Es 23:14-17). Nelle case si era occupati a ripulire tutti gli angoli da ogni traccia di lievito. – Es 12:14-20;13:6,7;23:15.

   Una donna, però, “una vedova poveretta” (Lc 21:2), non aveva speso il poco che aveva in vista dei festeggiamenti; in effetti, non aveva granché. Il poco che aveva doveva utilizzarlo assennatamente. Ma sapeva con certezza cosa fare con quel poco che le rimaneva. Lei cammina diritta verso il Tempio. Giunta lì, senza esitare, mette i suoi due spiccioli nella cassa delle offerte, forse sospinta tra i “ricchi che mettevano i loro doni nella cassa delle offerte” (Lc 21:1). La gente ricca metteva nella cassa una gran quantità di denaro, ma era quello che aveva in sovrappiù. Mettendo la propria offerta, ciascuno la dichiara, e il sacerdote la ripete ad alta voce. I ricchi fanno un figurone. Chissà invece gli sguardi e i commenti mentre la poveretta dichiara i suoi due spiccioli: λεπτὰ δύο (leptà dǜo), “due lepton” (Lc 21:2, testo greco). In greco lepton significa “sottile”, il che già ci dà un’idea del poco valore delle due monetine.

   Due leptoni equivalevano a un quadrante (Mt 5:26), che equivaleva alla quarta parte di un asse o soldo (Mt 10:29), chiamato dai rabbini isor ed equivalente ad un decimo di denaro (Mt 18:28;20:2,8) o dramma (Lc 15:8), che equivaleva alla metà del didramma  (Mt 17:24) o a un quarto dello statere (Mt 17:27), chiamato anche tetradrachmon; per fare una mina (Lc 19:13,16,18,20) occorrevano 100 denari o 100 dramme; con 60 mine si faceva un talento (Mt 18:24;25:15,16). Insomma, quei due spiccioli equivalevano a ben poco: erano le più piccole monetine in circolazione.

   La donna, fatta la sua misera offerta – che al tasso di cambio di Yeshùa equivaleva ad aver “messo più di tutti” (Lc 21:3) -, si ritira. Nella stessa maniera in cui era venuta, passando del tutto inosservata, se ne va. Per la verità, non del tutto inosservata. Qualcuno l’aveva osservata: Yeshùa. Lui, che sapeva che stava per compiersi la sua ora e che da lì a poco avrebbe sofferto pene inimmaginabili, lui solo si sofferma a notare quella povera vedova che offre a Dio i suoi due ultimi spiccioli. Lui sapeva che i due spiccioli erano tutto quanto le rimaneva. I suoi spiccioli non avrebbero certo cambiato il bilancio del Tempio: che mai si poteva fare con due spiccioli?

   Lei però aveva dato proprio tutta la sua ricchezza, e lo aveva fatto per il Dio di Israele, che amava. Non aveva conservato per sé nemmeno uno spicciolo. Yeshùa ne fu toccato. “In verità vi dico che questa povera vedova ha messo più di tutti; perché tutti costoro hanno messo nelle offerte del loro superfluo; ma lei vi ha messo del suo necessario, tutto quello che aveva per vivere”. – Lc 21:3,4.

Vedovadefinizione (ebraico: אַלְמָנָה, almanàh; greco: χήρα, chèra; “vedova”)

“Non affliggerete la vedova” (Es 22:22; nel Testo Masoretico è al v. 21). La Bibbia richiede che le vedove siano trattate con rispetto. “Lo straniero, l’orfano e la vedova che abitano nelle tue città verranno, mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore, il tuo Dio, ti benedica in ogni opera a cui porrai mano” (Dt 14:29; cfr. 16:11,14). La vedova in Israele era protetta: “Non prenderai in pegno la veste della vedova” (Dt 24:17). Alle vedove si doveva garantire la sopravvivenza: “Se, mietendo il tuo campo, vi avrai dimenticato qualche covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché il Signore, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando scoterai i tuoi ulivi, non tornerai per ripassare i rami. Le olive rimaste saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai a coglierne i grappoli rimasti; saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti ordino di fare così”. –  Dt 24:19-22; cfr. 26:12;27:19.

   Dio aveva previsto nella sua Legge anche che le vedove partecipassero di anno in anno alle festività sante, gioendo con il popolo (Dt 16:10-14); inoltre, ogni terzo anno, le vedove ricevevano una parte delle decime versate dalla popolazione (Dt 14:28,29;26:12,13). La Legge obbligava a rendere completa giustizia alle vedove (Es 22:22-24; Dt 24:17). “Maledetto chi calpesta il diritto . . . della vedova!”. – Dt 27:19; cfr. Is 1:17, 23;10:1,2; Ger 22:3; Ez 22:7; Zac 7:9,10; Mal 3:5.

   Nelle Scritture Greche troviamo lo stesso rispetto e la stessa considerazione per le vedove (At 6:1-6; 1Tm 5:3-16). Yeshùa dichiarò colpevoli quelli che “che divorano le case delle vedove” (Mr 12:40). Nella primitiva congregazione dei discepoli di Yeshùa le vedove costituivano addirittura una categoria cui si provvide. – At 6:1-6; cfr 1Tm 5:3-16.

   Quando una donna diventava vedova poteva tornare nella casa paterna (Gn 38:11). Nella Bibbia era anche previsto il levirato (matrimonio del cognato): il fratello di un uomo che era morto senza lasciare figli doveva sposarne la vedova e avere un figlio da lei, per tramandare la discendenza del defunto. – Gn 38:8; Dt 25:5-10; Rut 4:3-10.

   Ovviamente, una vedova era libera di risposarsi (Rut 1:8-13; Rm 7:2,3; 1Cor 7:8,9). Sono pratiche le disposizioni che Paolo dà in 1Tm 5:3-16 riguardo alle vedove: “Onora le vedove che sono veramente vedove. Ma se una vedova ha figli o nipoti, imparino essi per primi a fare il loro dovere verso la propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, perché questo è gradito davanti a Dio. La vedova che è veramente tale e sola al mondo, ha posto la sua speranza in Dio, e persevera in suppliche e preghiere notte e giorno; ma quella che si abbandona ai piaceri, benché viva, è morta. Anche queste cose ordina, perché siano irreprensibili. Se uno non provvede ai suoi, e in primo luogo a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede, ed è peggiore di un incredulo. La vedova sia iscritta nel catalogo quando abbia non meno di sessant’anni, quando è stata moglie di un solo marito, quando è conosciuta per le sue opere buone: per aver allevato figli, esercitato l’ospitalità, lavato i piedi ai santi, soccorso gli afflitti, concorso a ogni opera buona. Ma rifiuta le vedove più giovani, perché, quando vengono afferrate dal desiderio, abbandonato Cristo, vogliono risposarsi, rendendosi colpevoli perché hanno abbandonato l’impegno precedente. Inoltre imparano anche a essere oziose, andando attorno per le case; e non soltanto a essere oziose, ma anche pettegole e curiose, parlando di cose delle quali non si deve parlare. Voglio dunque che le vedove giovani si risposino, abbiano figli, governino la casa, non diano agli avversari alcuna occasione di maldicenza; infatti già alcune si sono sviate per andare dietro a Satana. Se qualche credente ha con sé delle vedove, le soccorra. Non ne sia gravata la chiesa, perché possa soccorrere quelle che sono veramente vedove”.

   Come per tutte le altre categorie femminili, anche la parola “vedova” può assumere un senso metaforico. Le città desolate sono dette vedove (Lam 1:1; cfr. Ger 51:5). L’apocalittica Babilonia la grande, che si vanta di non poter mai diventare vedova, lo diverrà; l’antìtipo come il tipo: la vera Babilonia lo divenne, e così accadrà per l’antitipica Babilonia la grande. – Is 47:8,9; Ap 17:18;18:7,8.

Vedova di Nain (χήρα, chèra, “vedova”)

Quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava alla sepoltura un morto, figlio unico di sua madre, che era vedova; e molta gente della città era con lei. Il Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: ‘Non piangere!’”. – Lc 7:12,13.

   Da Capernaum (Lc 7:1) Yeshùa “si avviò verso una città chiamata Nain”(v. 11), distante circa 35 km. A Nain, Yeshùa incontra un corteo funebre. Egli si sofferma a notare il dolore di questa donna vedova che ha perso il suo unico figlio. “Non piangere”, le dice. E le ridona il figlio. L’“ebbe piètà” è nel testo greco ἐσπλαγχνίσθη (esplanchnìsthe), “si commosse”, letteralmente: “fu smosso nelle viscere”. Per gli ebrei la sede dei sentimenti era nelle viscere, non nel cuore come per gli occidentali; per gli ebrei il cuore era la sede dei pensieri. Si vedano al riguardo i nostri studi nella categoria Antropologia biblica, nella sezione La Bibbia.

Vedova di Sarepta (אַלְמָנָה, almanàh, “vedova”)

“La parola del Signore gli [al profeta Elia] fu rivolta in questi termini: ‘Àlzati, va’ ad abitare a Sarepta dei Sidoni; io ho ordinato a una vedova di laggiù che ti dia da mangiare’”. – 1Re 17:8,9.

   Questa storia non parla solo di Elia, profeta di Dio. Vi si parla anche di una vedova. Questa donna aveva un rapporto così stretto con il Signore che non solo poteva sentirlo vicino, ma lui stesso parlava con lei. In più, la sua obbedienza al Signore era tale che il Signore poteva inviare il suo profeta da lei sapendo che avrebbe obbedito e lo avrebbe nutrito.

   “Egli dunque si alzò, e andò a Sarepta; e, quando giunse alla porta della città, c’era una donna vedova, che raccoglieva legna. Egli la chiamò, e le disse: ‘Ti prego, vammi a cercare un po’ d’acqua in un vaso, affinché io beva’. E mentre lei andava a prenderla, egli le gridò dietro: ‘Portami, ti prego, anche un pezzo di pane’. Lei rispose: ‘Com’è vero che vive il Signore, il tuo Dio, del pane non ne ho; ho solo un pugno di farina in un vaso, e un po’ d’olio in un vasetto; ed ecco, sto raccogliendo due rami secchi per andare a cuocerla per me e per mio figlio; la mangeremo, e poi moriremo”. – 1Re 17:10-12.

   La donna risponde alla richiesta di Elia e va a prendergli dell’acqua. Elia poi sembra esitare, quando le chiede del pane, pur sapendo che Dio aveva già ordinato alla vedova di sfamarlo. Lei non rifiuta, ma spiega che ha ben poco cibo. Ne aveva di appena sufficiente per fare un po’ di pane; poi, stranamente, si aspetta di morire.

   “Elia le disse: ‘Non temere; va’ e fa’ come hai detto; ma fanne prima una piccola focaccia per me, e portamela; poi ne farai per te e per tuo figlio. Infatti così dice il Signore, Dio d’Israele: La farina nel vaso non si esaurirà e l’olio nel vasetto non calerà, fino al giorno che il Signore manderà la pioggia sulla terra’. Quella andò e fece come Elia le aveva detto; lei, la sua famiglia ed Elia ebbero di che mangiare per molto tempo. La farina nel vaso non si esaurì, e l’olio nel vasetto non calò, secondo la parola che il Signore aveva pronunciata per bocca d’Elia”. – 1Re 17:13-16.

   Come Pietro camminando sulle acque (Mt 14:25-31), la donna aveva paura di agire vedendo l’assurdità della sua situazione: se lei avesse dato il pochissimo cibo che aveva al profeta, lei e suo figlio sarebbero morti di stenti. Elia vide la sua paura e le disse di non temere. Dio mantenne la sua promessa di provvedere a lei.

   I semplici potrebbero basarsi su ciò per agire avventatamente in nome della fede. Molti “cristiani” si sono causati grandi difficoltà per essersi buttati ad occhi chiusi in imprese avventurose confidando in azioni miracolose che nessuno aveva promesso loro. Eppure, prima di decidere comportamenti avventati, occorre guardare bene a cosa è successo in questa storia.

   In primo luogo, Elia non era neppure a conoscenza dell’esistenza di questa donna quando Dio gli disse d’aver ordinato ad una vedova di sfamarlo. In altre parole, questa non era una situazione in cui l’uomo di Dio pretese che gli fosse dato, tant’è vero che prima di chiederle del pane lui tituba. Il “così dice il Signore” viene dopo, confermando poi che lei doveva dargli da mangiare come aveva ordinato il Signore. Dio aveva dato il suo ordine prima donna, poi Elia lo confermò. Elia non ha aveva preteso per sé tutto il cibo della donna: prese per sé solo “una piccola focaccia”, e ciò avrebbe sempre lasciato abbastanza farina e olio per lei e per il figlio. Sono queste le condizioni in cui “la farina nel vaso non si esaurì, e l’olio nel vasetto non calò”. Ne rimase abbastanza.

   La fede è una parte meravigliosa e bella del cammino che si fa con il Signore, ma – come tutti i frutti dello spirito (cfr. Gal 5:22, in cui la fede è tra i frutti dello spirito santo di Dio) – essa deve operare sotto la guida dello spirito stesso, e non in base ai dettami di un ministro religioso o di un sacerdote.

   “Dopo queste cose, il figlio di quella donna, che era la padrona di casa, si ammalò; e la sua malattia fu così grave, che egli cessò di respirare. Allora la donna disse a Elia: ‘Che ho da fare con te, o uomo di Dio? Sei forse venuto da me per rinnovare il ricordo delle mie iniquità e far morire mio figlio?’” (1Re 17:17,18). Molte volte questa parte della storia viene spiegata come se la donna fosse nuova alla fede e avesse reagito in modo immaturo. Tuttavia, come già notato all’inizio, questa donna conosceva il Signore fino al punto che poteva ricevere un comando da lui e aver abbastanza fede da andar contro il suo proprio bisogno. Eppure, lei reagì alla morte di suo figlio con rabbia e accusando Elia. “Sei forse venuto da me per rinnovare il ricordo delle mie iniquità e far morire mio figlio?” “Rievocare il mio errore” (TNM) allude forse ad un peccato sessuale? Molti commentatori hanno assunto in tal senso questa frase; nulla, però, nel testo lo suggerisce.

   “Egli le rispose: ‘Dammi tuo figlio’. Lo prese dalle braccia di lei; lo portò su nella camera di sopra, dove egli alloggiava, e lo coricò sul suo letto. Poi invocò il Signore, e disse: ‘Signore mio Dio, colpisci di sventura anche questa vedova, della quale io sono ospite, facendole morire il figlio?’” (1Re 18:19,20). Elia risponde alle accuse della donna prendendo il bambino con sé nella stanza superiore, quindi interroga Dio. Dato che la donna accusa il profeta di aver causato la morte di suo figlio, Elia si domanda se è Dio che ha ucciso il bambino.

   “Si distese quindi tre volte sul bambino e invocò il Signore, e disse: ‘Signore, mio Dio, torni, ti prego, l’anima di questo bambino in lui!’ Il Signore esaudì la voce d’Elia: l’anima del bambino tornò in lui, ed egli visse. Elia prese il bambino dalla camera di sopra e lo portò al pian terreno della casa, e lo restituì a sua madre, dicendole: ‘Guarda! tuo figlio è vivo’. Allora la donna disse a Elia: ‘Ora riconosco che tu sei un uomo di Dio, e che la parola del Signore, che è nella tua bocca, è verità’”. – 1Re 18:21-24.

   Dio ascolta Elia e fa rivivere il bambino. La madre risponde con un’affermazione di fiducia in Elia. Nel racconto, lei non ha mai messo in dubbio Dio, ma Elia. Dopo che suo figlio torna in vita, sa che Elia è veramente un uomo di Dio.

Vedova importuna (χήρα, chèra, “vedova”)

“In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: ‘Rendimi giustizia sul mio avversario’”. – Lc 18:2,3.

   Yeshùa prende qui, in questa parabola, una vedova a protagonista. Yeshùa propose “questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi”. – Lc 18:1.

   “Egli [il giudice] per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: ‘Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa’. Il Signore disse: ‘Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?’”. – Lc 18:4-8.

Vergine – definizione (ebraico: בְּתוּלָה, betulàh; greco: παρθένος, pathènos; “vergine”)

La definizione della parola ebraica בְּתוּלָה (betulàh) la troviamo in Gn 24:16: “La fanciulla era molto bella d’aspetto, vergine [בְּתוּלָה (betulàh)]; nessun uomo l’aveva conosciuta”. Il verbo “conoscere” non ha in ebraico il nostro senso di conoscenza intellettuale, ma indica una conoscenza pratica, sperimentale. Si pensi a Gn 4:1: “Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì”. La parola “vergine” assume quindi nella Bibbia lo stesso significato che noi diamo a questa parola.

   Mentre la parola ebraica בְּתוּלָה (betulàh) si riferisce unicamente ad una donna, quella greca παρθένος (pathènos) può riferirsi sia ad una donna che ad un uomo. “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine [παρθένον (parthènon)] fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe” (Lc 1:26,27). In 1Cor 7:25, sebbene NR traduca “Quanto alle vergini”, al femminile, il greco ha περὶ δὲ τῶν παρθένων (perì de ton parthènon), “riguardo poi ai vergini”, comprendendo maschi e femmine; per evitare equivoci, non sarebbe meglio tradurre: “Riguardo alle persone vergini”?

   In Israele la verginità femminile era un alto valore morale, a differenza dell’attuale società permissiva e libertina in cui una ragazza vede spesso la verginità come un intralcio di cui liberarsi presto. Ma non si confonda il valore morale in vista del matrimonio con un valore religioso che in Israele era del tutto assente e impensabile. Ad esempio, il voto di castità sarebbe stato in Israele una cosa assurda. Le ragazze anelavano al matrimonio e alla maternità: avere molti figli era una benedizione di Dio (Sl 127:3-5;128:3-6), non averne era un biasimo (Gn 30:23). Paolo raccomandò perfino alle vedove più giovani che si risposassero e avessero figli, così da non rimanere preoccupate per i loro istinti materni non soddisfatti (1Tm 5:11-15). Non si dimentichi che il primo sposalizio umano fu celebrato da Dio stesso. (Gn 2:22-24). È vero che Paolo raccomanda il nubilato, ma lo fa solo in vista della maggiore libertà di cui la ragazza potrebbe godere nel servizio del Signore (1Cor 7:25-35), tuttavia aggiunge: “Faccia quello che vuole . . . non pecca” (1Cor 7:36); in ogni caso, Paolo precisa: “Quanto alle vergini non ho comandamento dal Signore; ma do il mio parere”. – 1Cor 7:25.

   In Israele la ragazza vergine era molto protetta dalla Legge. “Se uno seduce una fanciulla non ancora fidanzata e si unisce a lei, dovrà pagare la sua dote e prenderla in moglie. Se il padre di lei rifiuta assolutamente di dargliela, il seduttore pagherà una somma pari alla dote che si è soliti dare per le fanciulle” (Es 22:16,17). “Quando un uomo trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, e l’afferra e si corica con lei e sono sorpresi, l’uomo che si è coricato con lei darà al padre della fanciulla cinquanta sicli d’argento e lei sarà sua moglie, perché l’ha disonorata; e non potrà mandarla via per tutto il tempo della sua vita”. – Dt 22:28 29.

   Nel caso la ragazza vergine fosse fidanzata, si applicava una norma diversa: “Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, si corica con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città, e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato; e l’uomo, perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così toglierai via il male di mezzo a te. Ma se l’uomo trova per i campi la fanciulla fidanzata e facendole violenza si corica con lei, allora morirà soltanto l’uomo che si sarà coricato con lei; non farai niente alla fanciulla; nella fanciulla non c’è colpa degna di morte; si tratta di un caso come quello di un uomo che aggredisce il suo prossimo e lo uccide, perché egli l’ha trovata per i campi; la fanciulla fidanzata ha gridato, ma non c’era nessuno per salvarla”. – Dt 22:23-27.

   La ragazza vergine già fidanzata era considerata come già sposata. Ecco perché in Gle 1:8 il lamento di una vergine fidanzata per il suo fidanzato è detto per il suo sposo: “Lamèntati come una vergine vestita di sacco che piange lo sposo della sua giovinezza!”

   In termine “vergine” la Bibbia lo impiega anche in senso metaforico. Così, Paolo dice alla congregazione dei discepoli di Yeshùa: “Vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo” (2Cor 11:2). Tale verginità spirituale si preserva non facendo parte del mondo (1Cor 5:9-13;6:15-20), ecco perché Giacomo definisce adulteri i discepoli non fedeli: “O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio?” – Gc 4:4.

   Sempre nell’ottica metaforica, Dio definisce Gerusalemme una vergine: “I miei occhi si sciolgano in lacrime giorno e notte, senza posa, poiché la vergine figlia del mio popolo è stata stroncata in modo straziante, ha ricevuto un colpo tremendo” (Ger 14:17); “Io ti ricostruirò, e tu sarai ricostruita, vergine d’Israele!” (Ger 31:4; cfr. v. 21). La verginità di un popolo può indicare anche che era indipendente e non aveva subito conquiste; ciò spiega perché sono chiamate “vergini” anche l’Egitto (Ger 46:11), la Babilonia (Is 47:1) e Sidone. – Is 23:12.