Preghiere udite ma non esaudite

   Yeshùa, nel suo celebre discorso sulla montagna, assicurò: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa” (Mt 7:7,8). Molti cosiddetti credenti, prendendo queste parole in modo magico, si domandano delusi come mai non siano esauditi. La risposta la dà Giovanni: “Se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce” (1Gv 5:14). Se non siamo esauditi, dipende spesso da noi; in qualche caso, da Dio.

   A volte scontiamo la conseguenza di nostre azioni non buone. Il Sl 106:33 ricorda che Mosè “parlò senza riflettere”. L’episodio è narrato in Nm 29:2-12: “Mancava l’acqua per la comunità. Allora gli Israeliti si radunarono attorno a Mosè e Aronne e si misero a litigare con Mosè. Gli dissero: ‘Sarebbe stato meglio per noi esser morti insieme ai nostri fratelli che perirono davanti alla tenda del Signore! Perché avete condotto il popolo del Signore qui, nel deserto? Volete proprio veder morire qui noi e il nostro bestiame? Perché ci avete fatto lasciare l’Egitto, per condurci in un posto così orribile? Qui non si può seminare nulla; non ci sono né piante di fico né viti né melograni; non c’è nemmeno acqua da bere!’.
Mosè e Aronne si allontanarono dagli Israeliti e andarono a gettarsi con il volto a terra davanti alla tenda dell’incontro. Il Signore manifestò loro la sua presenza e disse a Mosè: ‘Prendi il tuo bastone e poi, con tuo fratello Aronne, raduna gli Israeliti. Sotto i loro occhi parlerete a questa roccia, ed essa darà acqua. Farai sgorgare acqua da questa roccia, per dar da bere agli Israeliti e al loro bestiame’. Mosè eseguì l’ordine ricevuto e andò a prendere il suo bastone nella tenda del Signore. Poi, insieme ad Aronne, radunò gli Israeliti davanti alla roccia indicata e disse: ‘Sentitemi, o ribelli! Saremo noi capaci di far scaturire per voi acqua da questa roccia?’. Allora Mosè alzò il suo braccio e colpì due volte la roccia con il bastone. Subito uscì una grande quantità d’acqua, e poterono dissetarsi gli Israeliti e il loro bestiame. Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: ‘Non avete avuto fiducia in me; non avete lasciato che la mia santità si manifestasse agli occhi degli Israeliti! Perciò non sarete voi a far entrare questo popolo nella terra che do loro’” (PdS). Mosè continuò poi a essere ubbidiente al Signore, ma la sua preghiera di entrare nella Terra Promessa non fu mai esaudita. Lo stesso Mosè riferisce in Dt 3:23-27: “In quel medesimo tempo rivolsi al Signore questa preghiera: Signore Dio … Lasciami passare il Giordano, lasciami vedere quella terra fertile, i bei monti e il Libano. Ma … il Signore se la prese con me e non accolse la mia preghiera. Mi disse: Basta, non insistere! Sali sulla cima del monte Pisga, volgi i tuoi occhi in tutte le direzioni e guarda: tu non passerai il Giordano’” (PdS). “Non insistere”: a volte è questa la risposta che Dio dà alle nostre preghiere. Il motivo può risiedere in una nostra cattiva azione precedente; non che si tratti di punizione vendicativa: si tratta piuttosto di conseguenza. Una persona che ha commesso immoralità e per questo ha contratto una grave malattia, non può pretendere di essere miracolato; può essere perdonato, se si pente, ma le conseguenze del suo atto peccaminoso dovrà subirle. “Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà”. – Gal 6:7.

   Altre volte le nostre preghiere non vengono esaudite non perché scontiamo la conseguenza di qualche colpa, ma per volontà di Dio. È il caso di Paolo, come lui stesso racconta: “Tre volte ho supplicato il Signore di liberarmi da questa sofferenza. Ma egli mi ha risposto: ‘Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole’”. La preghiera di Paolo di essere liberato da una sofferenza fisica (forse un male agli occhi – cfr. Gal 6:11) era certamente lecita, anzi, il suo esaudimento lo avrebbe agevolato di molto nel suo fatico ministero. Tuttavia, poco prima Paolo spiega: “Io ho avuto grandi rivelazioni. Ma proprio per questo, perché non diventassi orgoglioso, mi è stata inflitta una sofferenza che mi tormenta come una scheggia nel corpo, come un messaggero di Satana che mi colpisce per impedirmi di diventare orgoglioso”. Ecco allora spiegato il motivo per cui Paolo non fu esaudito. Lui lo comprese perfettamente, tanto che conclude: “È per questo che io mi vanto volentieri della mia debolezza, perché la potenza di Cristo agisca in me. Perciò io mi rallegro della debolezza, degli insulti, delle difficoltà, delle persecuzioni e delle angosce che io sopporto a causa di Cristo, perché quando sono debole, allora sono veramente forte”. – 2Cor 12:7-10, PdS.

   Il più tragico non esaudimento di una preghiera lo sperimentò Yeshùa. Proprio lui, il Figlio di Dio per eccellenza, il suo prediletto, l’uomo perfetto che sempre e in tutto ubbidì a Dio fino a morirne, proprio lui che ora è a capo di tutto l’universo visibile e invisibile, essendo secondo solo a Dio Altissimo, proprio lui ricevette solo silenzio alla sua accoratissima e disperata preghiera. “Si mise in ginocchio e pregò così: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice di dolore. Però non sia fatta la mia volontà, ma la tua’. Allora dal cielo venne un angelo a Gesù per confortarlo; e in quel momento di grande tensione pregava più intensamente. Il suo sudore cadeva a terra come gocce di sangue” (Lc 22:41-44, PdS). Ricevette conforto, ma la sua preghiera non fu accolta. “Il Signore ha voluto stroncarlo con i patimenti” (Is 53:10). Ciò avvenne per amor nostro perché Yeshùa prese il nostro posto. Ed è solo con riconoscenza, vergognandoci, che possiamo leggere in Rm 8:22 riguardo a Dio: “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti”. “Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito [con la risurrezione – cfr. Sl 16:10] per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna”. – Eb 5:7-9.

Preghiere che non sono neppure ascoltate

   “Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò” (Ger 11:11). “Io non avrò misericordia; per quanto gridino ad alta voce ai miei orecchi, io non darò loro ascolto” (Ez 8:18). Quando si è del tutto ostinati nella disubbidienza a Dio e quando si mostra profondo disprezzo per gli inviti divini a ravvederci, l’accesso alla preghiera viene chiuso.

“‘Quando stendete le mani, distolgo gli occhi da voi;

anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto …

Lavatevi, purificatevi,

togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni;

smettete di fare il male;

imparate a fare il bene; cercate la giustizia …

Poi venite, e discutiamo’, dice il Signore;

‘anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,

diventeranno bianchi come la neve’”. – Is 1:15-18.

   Un esempio del disprezzo della pazienza di Dio è dato dalla parabola di Yeshùa che narra di vergini stolte che alla fine si sentono dire: “Non vi conosco” (Mt 25:12). Nel concretismo ebraico tale situazione è illustrata così: “Anche quando grido e chiamo aiuto, egli chiude l’accesso alla mia preghiera. Egli mi ha sbarrato la via con blocchi di pietra”, “Ti sei avvolto in una nuvola, perché la preghiera non potesse raggiungerti” (Lam 3:8,9,44). Al fedele profeta Geremia, Dio disse: “Tu non intercedere per questo popolo, non innalzare per essi suppliche o preghiere, non insistere presso di me, perché non ti esaudirò” (Ger 7:16); Geremia invece insiste, e per la seconda volta si sente dire da Dio: “Tu non pregare per questo popolo, non ti mettere a gridare né a far suppliche per loro; perché io non li esaudirò” (Ger 11:14); non contento, il profeta prega ancora, nonostante il duplice rifiuto di Dio, e per la terza volta ecco la risposta divina, come Geremia stesso riporta: “Il Signore mi disse: ‘Non pregare per il bene di questo popolo. Se digiunano, non ascolterò il loro grido; se offrono olocausti e offerte, non li gradirò” (Ger 14:11,12). Finita così? No. Geremia tenta ancora di intenerire Dio, che non gli lascia alcuna speranza, confermandogli che la sua insistenza è del tutto inutile: “Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei verso questo popolo; caccialo via dalla mia presenza, e che egli se ne vada!” (Ger 15:1). Tanta chiusura da parte di Dio è spiegata da lui stesso a Gerusalemme così: “‘Tu mi hai respinto’, dice il Signore; ‘ti sei tirata indietro; perciò io stendo la mano contro di te’”. – Ger 15:6.

  Tale chiusura di Dio, che nei passi di Ger appena trattati fu rivolta al popolo ebraico, può avvenire individualmente, verso qualcuno di noi personalmente? Sì. Lo deduciamo da 1Gv 5:16: “Se qualcuno vede suo fratello commettere un peccato che non conduca a morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare”. Si tratta qui di un peccato imperdonabile perché per esso non vi è pentimento (cfr. Mt 12:31; Mr 3:29; Lc 12:10; Eb 6:6;10:26); se qualcuno si domanda preoccupato se lo ha commesso, la risposta è no, perché chi commette tale peccato non se ne preoccupa.

Preghiere sconvenienti

   Nella Bibbia troviamo anche che certe preghiere sono ritenute anomale. Lo spieghiamo con un esempio tratto dalla Scrittura. In Ger 42 si narra che una parte dei giudei (ovvero quelli che erano rimasti in Giudea perché non deportati in Babilonia) si rivolse al profeta Geremia “e dissero al profeta Geremia: «Ti sia accetta la nostra supplica, e prega il Signore, il tuo Dio per noi, per tutto questo residuo (poiché, di molti che eravamo, siamo rimasti pochi, come lo vedono i tuoi occhi) affinché il Signore Dio tuo, ci mostri la via per la quale dobbiamo camminare, e che cosa dobbiamo fare»” (Ger 42:2,3). “Il profeta Geremia disse loro: «Ho inteso; ecco, io pregherò il Signore, il vostro Dio, come avete detto; tutto quello che il Signore vi risponderà ve lo farò conoscere, non vi nasconderò nulla». Quelli dissero a Geremia: «Il Signore sia un testimone veritiero e fedele contro di noi, se non facciamo tutto quello che il Signore, il tuo Dio, ti manderà a dirci. Sia la tua risposta gradevole o sgradevole, noi ubbidiremo alla voce del Signore nostro Dio, al quale ti mandiamo, affinché bene ce ne venga, per aver ubbidito alla voce del Signore nostro Dio»” (Ger 42:4-6). Fin qui è tutto regolare: quei giudei vogliono conoscere la volontà di Dio, si impegnano a rispettarla qualunque sia e il profeta stesso conferma che va bene fare così. Poi Dio risponde alla loro preghiera, benevolmente e amorevolmente: “’Se continuate ad abitare in questo paese, io vi ci stabilirò e non vi distruggerò; vi pianterò e non vi sradicherò; perché mi pento del male che vi ho fatto. Non temete il re di Babilonia, del quale avete paura; non lo temete’, dice il Signore, ‘perché io sono con voi per salvarvi e per liberarvi dalla sua mano’” (Ger 42:10,11). La volontà di Dio è chiara: non devono scappare ma rimanere in Giudea. Eppure, qualcosa non andava. Quei giudei, in verità, volevano rifugiarsi in Egitto e cercavano solo una conferma tramite Geremia. Il profeta lo sa, l’ha capito, e dice loro: “Voi ingannate voi stessi, a rischio della vostra vita; poiché m’avete mandato dal Signore vostro Dio, dicendo: ‘Prega il Signore, il nostro Dio, per noi; tutto quello che il Signore nostro Dio dirà, faccelo sapere esattamente, e noi lo faremo’. Io ve l’ho fatto sapere quest’oggi; ma voi non ubbidite alla voce del Signore, del vostro Dio, né a nulla di quanto egli mi ha mandato a dirvi. Ora sappiate bene che voi morirete di spada, di fame e di peste, nel luogo dove desiderate andare per abitarvi” (Ger 42:20-22). Nonostante siano stati mascherati nella loro ipocrisia, insistono nelle loro intenzioni e non accettano la risposta di Dio alla loro preghiera, tanto che “tutti gli uomini superbi dissero a Geremia: ‘Tu dici il falso; il Signore, il nostro Dio, non ti ha mandato a dire: Non andate in Egitto per abitarvi’”. – Ger 43:2.

   Tutto ciò rivela che quella preghiera era anomala. Assomiglia alla richiesta che i bambini o i ragazzi fanno ai loro genitori quando domandano: Che ne dici se …? Hanno però già in mente quello che vogliono fare e cercano solo una legittimazione, non la guida genitoriale che non intendono rispettare se contraria alla loro intenzione. Così, pregare Dio avendo già in mente la risposta che vogliamo è anomalo. Ci si inganna soltanto, cercando di ingannare Dio.

   Un altro esempio biblico, che ci richiama situazioni molto attuali, lo troviamo nel caso del matrimonio del figlio di Giosafat, devoto re di Giuda, con la figlia del malvagio Acab re d’Israele. Oggi, similmente, accade che un credente desideri unirsi a un non credente ignorando il consiglio ispirato di 2Cor 6:14: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre?” (Cfr. 1Cor 7:39). Il re Giosafat, contro i matrimoni con persone nemiche di Dio, aveva questa disposizione divina nella Legge di Dio: “Non t’imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché distoglierebbero da me i tuoi figli che servirebbero dèi stranieri” (Dt 7:3,4). La volontà di Dio era chiara, come era chiara la posizione anomala in cui Giosafat si era messo entrando in relazione con il malvagio Acab, tanto che “Acab, re d’Israele, disse a Giosafat, re di Giuda: «Vuoi venire con me a Ramot di Galaad?» Giosafat gli rispose: «Conta su di me come su te stesso, sulla mia gente come sulla tua, e verremo con te alla guerra»” (2Cor 18:3). Giosafat aveva già deciso di rimanere leale nella sua irregolare relazione con Acab, eppure si mostra desideroso di conoscere la volontà di Dio e fa chiamare il profeta Micaia. Il malvagio Acab aveva già avuto le benedizioni di suoi quattrocento profeti e odiava Micaia perché gli aveva sempre profetizzato il male. Così, il messaggero inviato da Acab controvoglia, detta le direttive al profeta Micaia: “Tutti i profeti, a una voce, predicono del bene al re; ti prego, le tue parole siano concordi con le loro, e predici del bene!” (2Cron 18:12). Micaia esegue e profetizza il bene, però Acab capisce che sta mentendo e lo incalza: “Quante volte dovrò scongiurarti di non dirmi altro che la verità nel nome del Signore?” (2Cron 18:15). Posto sotto giuramento “nel nome del Signore”, Micaia proferisce allora la verità annunciando la disfatta (v. 16). Siccome tale verità non si accordava con la decisione che i due avevano già preso, Micaia viene messo in prigione (v. 26). Giosafat parte allora con Acab per tornarsene poi da solo e smarrito, sentendosi dire: “Dovevi tu dare aiuto a un empio e amare quelli che odiano il Signore?”. – 2Cron 19:2.

   Quando l’insegnamento di Dio contenuto nella Sacra Scrittura è chiaro e abbiamo pieno intendimento sapendo distinguere una strada sbagliata da quella giusta, è del tutto inutile pregare per avere la guida di Dio. Farlo sarebbe un’anomalia. Questo tipo di preghiere non hanno lo scopo di conoscere la volontà di Dio, che già conosciamo, ma solo quello di cercare di trovare giustificazioni alla nostra volontà. A che servirebbe mai pregare Dio per chiedergli consiglio sul partecipare a qualcosa che sappiamo già essere contrario al pensiero divino? “Non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio”. – Gc 4:4.

Preghiere impedite

   Nel trattare questo aspetto prendiamo spunto da 1Pt 3:7: “Voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite”. Qui l’apostolo esorta i mariti credenti a comportarsi in modo rispettoso e riguardoso con le loro mogli, insistendo sul fatto che esse hanno pari dignità perché “anch’esse sono eredi” e godono della stessa grazia. Ora, è proprio nella vita coniugale che, per l’intimità e la confidenza che si crea, può emergere nell’uomo il suo tratto egoista, maschilista e prevaricatore. Ciò non solo è riprovevole e spregevole, ma nuoce alla nostra relazione con Dio fino a impedire la preghiera. Con quale coscienza possiamo chiedere aiuto a Dio se poi maltrattiamo nostra moglie? Con quale coraggio possiamo chiedere a Dio di essere buono con noi se nel frattempo siamo duri e cattivi con la compagna della nostra vita ed erede delle promesse divine? In questa situazione disastrosa valgono le parole bibliche che dicono dell’atteggiamento assunto da  Dio: “Hai ostruito l’accesso presso di te con una massa di nuvole, perché la preghiera non passi”. – Lam 3:44, TNM.

   Non si dovrebbe mai cadere in una situazione simile. E se ci accorgiamo che nella nostra personale relazione con Dio qualcosa non va e troviamo impedimento a pregare, è il caso di fare subito un’autoanalisi per individuare e correggere un nostro modo di pensare e di fare sbagliato.

   Non va mai dimenticata l’esortazione rivoltaci a come a figli:

“Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore,

e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso;

perché il Signore corregge quelli che egli ama,

e punisce tutti coloro che riconosce come figli”. – Eb 12:5,6.

 

 

Il silenzio di Dio

   La più grande difficoltà nella preghiera è forse il silenzio di Dio. Occorre accettarlo. È solo la nostra piccola e limitata mente che pretende una pronta risposta da Dio, magari secondo ciò che noi crediamo giusto. Poveri noi. Pensiamo di saperne più di Dio. Dimenticandoci Chi è, lo vorremmo quasi al nostro servizio. “‘I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie’, dice il Signore. ‘Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri” (Is 55:8,9). Noi abbiamo solo la piccola e ristretta visuale del momento su una certa situazione, mentre Dio contempla l’intera panoramica nel suo divenire. Molto spesso comprendiamo il silenzio di Dio a cose avvenute, perfino grati che di non essere stati ascoltati per ciò che chiedevamo perché si è mostrato poi dannoso. “Quanto a me, io volgerò lo sguardo verso il Signore, spererò nel Dio della mia salvezza; il mio Dio mi ascolterà” (Mic 7:7). “Siate dunque pazienti, fratelli … Osservate come l’agricoltore aspetta il frutto prezioso della terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell’ultima stagione. Siate pazienti anche voi; fortificate i vostri cuori”. – Gc 5:7,8.

“Io aspetto il Signore, l’anima mia lo aspetta;

io spero nella sua parola.

L’anima mia anela al Signore

più che le guardie non anelino al mattino”. – Sl 130:5.6.

  Dobbiamo educarci al silenzio di Dio. Il suo silenzio è sempre amore: ci fa crescere, sviluppando in noi collaborazione e perfino creatività. Spesso il suo silenzio ci fa vedere le nostre responsabilità, mettendo a nudo la nostra faciloneria e perfino il nostro essere cialtroni e inerti. Il silenzio divino può prepararci a grazie più grandi, fortifica la nostra volontà e la nostra fede. A volte il silenzio di Dio ci dice cose più importanti di ciò che chiediamo. Alla fine, siamo poi così certi che ciò che chiediamo sia davvero per il nostro bene?

   La non risposta di Dio potrebbe essere dovuta a qualche nostro peccato. Basta una semplice domanda da fare a noi stessi per scoprirlo: Qual è il peccato presente nella mia vita che mi ostacola? “Le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto”. – Is 59:2.

“Poiché, quand’ho chiamato avete rifiutato d’ascoltare,

quand’ho steso la mano nessuno vi ha badato,

anzi avete respinto ogni mio consiglio

e della mia correzione non ne avete voluto sapere …

Allora mi chiameranno, ma io non risponderò;

mi cercheranno con premura ma non mi troveranno”.

Pr 1:24,25,28.

   Il silenzio di Dio ci invita anche all’ascolto. Compie davvero un gran salto di qualità chi sa passare dalla preghiera unilaterale incentrata sul nostro parlare alla preghiera d’ascolto in cui il vero protagonista è Dio. Il silenzio, la riflessione, l’interiorizzazione sono già risposta di Dio, specialmente nella lettura pregata della Sacra Scrittura. La preghiera ebraica per eccellenza è quella riportata in Dt 6:4: שְׁמַע יִשְׂרָאֵל  (shemà Israèl), “Ascolta, Israele”. Non è profondamente significativo che nella massima espressione di preghiera sia Dio stesso a pregare noi? “Ascolta”.

   “Quelli seminati sul terreno eccellente sono quelli che ascoltano la parola e la ricevono favorevolmente e portano frutto”. – Mr 4:20, TNM.

“All’alba ti presento il mio caso
e aspetto la tua risposta”.

Sl 5:4, PdS.

   Il silenzio di Dio a certe nostre preghiere ha sempre un senso. Comprenderlo rafforza la nostra fiducia il lui.

  • È sempre amore, perché ci fa crescere, facendoci collaborare e sviluppando perfino la nostra creatività.
  • Spesso ci apre gli occhi sulle nostre proprie responsabilità, segnalandoci la nostra inerzia e stimolandoci a fare la nostra parte.
  • Ci educa all’umiltà della fede, mettendoci davanti ai nostri limiti e invogliandoci ad abbandonarci fiduciosamente a Dio.
  • Ci educa alla costanza della preghiera, curando la nostra debolezza nell’irregolarità del pregare. Continuando a pregare con fede e perfino con insistenza, diveniamo più maturi e più responsabili.
  • Spesso ci prepara a grazie più grandi. Essendo costretti a pazientare e a lottare, ci prepariamo più profondamente ai progetti di Dio. La nostra volontà si fortifica, diveniamo più responsabili, e Dio può allora donarci ciò per cui non eravamo ancora preparati.
  • A volte è necessario perché Dio possa dirci cose più importanti di quelle chieste.

   La preghiera più bella è questa: “Si compia non la mia volontà, ma la tua”. – Lc 22:42, TNM.