Il credente che è spiritualmente maturo vive alla presenza di Dio. Nella natura stessa vede Dio. Le stelle alludono per lui tacitamene a Dio; il sussurro del vento e il fragore di una tempesta sono per lui brani musicali di una sinfonica che ha la voce di Dio. Gli alberi sono per lui testimoni viventi di Dio. Come il salmista, comprende il linguaggio silenzioso del tramonto e dell’avvicendarsi della notte e del dì.

“Narrano i cieli la gloria di Dio,
gli spazi annunziano l’opera delle sue mani.
Un giorno all’altro ne da notizia,
una notte all’altra lo racconta,
senza discorsi e senza parole.
Non è voce che si possa udire.
Il loro messaggio si diffonde sulla terra,
l’eco raggiunge i confini del mondo”. – Sl 19:2-5, PdS.

   Yeshùa, modello supremo di spiritualità, sapeva cogliere il volto di Dio negli aspetti della natura. Guarda gli uccelli e commenta: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre” (Mt 6:26). Guarda la pratellina dei campi palestinesi, destinata a essere buttata nel fuoco appena seccata, come facevano i giudei, e la vista di tanto semplice splendore  gli evoca la potenza di Dio: “Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro … Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno” (Mt 6:28-30). Vede il sole brillare sulla terra e la pioggia fecondare l’arido suolo di Palestina e vi vede l’amore di Dio per gli uomini, siano essi galantuomini o farabutti: “Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5;45). Una folgore lo induce a pensare al precipitare di satana dal cielo come un fulmine. – Lc 10:18.

   La natura diviene, per il credente maturo, uno schermo tridimensionale attraverso cui vede in trasparenza l’attività benefica e amorevole del suo Padre celeste. Allo stesso modo, nello svolgersi della storia intravvede Dio. È in sintonia con Paolo, per il quale gli eventi dell’Esodo, nei quali Dio interviene in modo mirabile per liberare il suo popolo e punire i recalcitranti, servono “da esempio e sono state scritte per ammonire noi”. – 1Cor 10:11.

   Anche nell’interpretare il senso della storia Yeshùa è di esempio. Alcuni galilei furono uccisi da Pilato proprio mentre stavano compiendo i loro sacrifici; altri giudei perirono a Gerusalemme nel crollo della torre di Siloe. Yeshùa ne trasse subito un insegnamento spirituale per suggerire a tutti la necessità di ravvedersi interiormente.

“In quello stesso tempo vennero alcuni a riferirgli il fatto dei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici. Gesù rispose loro: «Pensate che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, perché hanno sofferto quelle cose? No, vi dico; ma se non vi ravvedete, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto sui quali cadde la torre in Siloe e li uccise, pensate che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico; ma se non vi ravvedete, perirete tutti come loro»”. – Lc 13:1-5.

   Il peccato, intende dire Yeshùa, nelle sue più svariate forme è sempre sorgente di rovina e di morte. Oggi, mentre le nazioni si agitano, credendo di raggiungere la gloria e il potere con la loro propria forza, non fanno altro che scavarsi la fossa. È Dio che controlla l’agire umano e conduce tutti, volenti o no, alle mete del suo giusto, buono e santo piano. “Infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Flp 2:13). “Sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno”. – Rm 8:28.

   Il credente spiritualmente maturo sente che Dio gli è vicino e lo vede dovunque vada. Ha la stessa consapevolezza del salmista che riconosce questa realtà:

“Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito,

dove fuggirò dalla tua presenza?

Se salgo in cielo tu vi sei;

se scendo nel soggiorno dei morti,

eccoti là.

Se prendo le ali dell’alba

e vado ad abitare all’estremità del mare,

anche là mi condurrà la tua mano e mi afferrerà la tua destra.

Se dico: «Certo le tenebre mi nasconderanno

e la luce diventerà notte intorno a me»,

le tenebre stesse non possono nasconderti nulla

e la notte per te è chiara come il giorno;

le tenebre e la luce ti sono uguali”. – Sl 139:7-12.

   La persuasione che Dio è presente in ogni dove e che nulla sfugge al suo sguardo, che tutto conosce e che sarà nostro giudice, ci porta necessariamente a un timore filiale. È per questo che i credenti maturi non scherzano con Dio. Sanno che “non ci si può beffare di Dio” (Gal 6:7). Il credente che è spiritualmente maturo sa sì che Dio lo ama, ma sa anche che dovrà rendergli conto di ogni azione e di ogni pensiero, “perché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua” (Mt 16:27), e sa che “non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto”. – Eb 4:13; cfr. Sl 139:1-6.

   Il credente che è maturo in senso spirituale non solo prega, ma vive in preghiera. È del tutto ingannevole identificare la preghiera solo con la richiesta di grazie e dell’aiuto divino. La preghiera è anche questo, ma è soprattutto un parlare a Dio, intrattenendosi con lui, è un trascorrere del tempo con Dio. Con la preghiera si attua, nel nostro intimo, quel contatto spirituale che esisteva nel giardino dell’Eden, quando Dio “camminava nel giardino sul far della sera” (Gn 3:8), conversando con i nostri progenitori. Chi vive una spiritualità matura manifesta a Dio le sue aspirazioni, i suoi ideali, le sue mete, i suoi timori, abbandonandosi con docilità al volere divino, pronto ad accogliere ogni più piccolo ammonimento che gli viene dalla parola di Dio conservata nella Sacra Scrittura.

    Di nuovo, Yeshùa è nostro modello perfetto. Yeshùa amava molto stare in contatto con Dio nella preghiera. Diverse notti le trascorreva in preghiera, in intima compagnia di Dio, mentre tutto attorno era silenzio. Così, nei momenti più importanti della sua vita, troviamo Yeshùa in preghiera, fino ai momenti più tragici antecedenti la sua morte. Quanto più il credente diventa persona di preghiera, tanto più la sua vita diviene spirituale e si eleva al punto che non agisce più da solo ma unitamente al suo Signore.

   Yeshùa ci insegna che si deve “pregare sempre e non stancarsi” (Lc 18:1), “pregando in ogni momento” (Lc 21:36), e Paolo gli fa eco, suggerendo: “Non cessate mai di pregare” (1Ts 5:17). Un modo che si addice meravigliosamente alla preghiera continua e che si può conciliare con qualsiasi altra attività, è quello delle aspirazioni. L’aspirazione è un intento, un sogno, un ideale, una tendenza, un desiderio. Nella preghiera continua si tratta di effusioni d’amore molto semplici ma cariche di significato, simili alle espressioni d’amore, spesso ripetute e ogni volta gradite, che si scambiano gli innamorati: “Ti amo tanto, ti voglio bene, tu sei il mio amore, tu sei la mia vita, tu sei tutto per me”. Il Sl 136 è tutto una sequenza di queste aspirazioni:

“Lodate il Signore, egli è buono,
eterno è il suo amore per noi
Lodate Dio, più grande degli dèi,
eterno è il suo amore per noi.
Lodate il Signore, più potente dei signori,
eterno è il suo amore per noi.
Lui solo fa grandi prodigi:
eterno è il suo amore per noi.
Ha fatto i cieli con sapienza:
eterno è il suo amore per noi.
Ha disteso la terra sulle acque:
eterno è il suo amore per noi.
Ha creato il sole e la luna:
eterno è il suo amore per noi;
il sole per governare il giorno:
eterno è il suo amore per noi;
la luna e le stelle per la notte:
eterno è il suo amore per noi.
Nella nostra miseria si è ricordato di noi:
eterno è il suo amore per noi.
Dona cibo ad ogni vivente:
eterno è il suo amore per noi.
Lodate Dio, il Signore dei cieli:
eterno è il suo amore per noi”. – Passim, PdS.

   Le aspirazioni sono l’unico modo con cui possiamo pregare incessantemente “ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef 5:20). Queste aspirazioni riescono facili nei momenti di gioia, quando si contempla un cielo stellato, quando siamo oggetto di bontà da parte di qualcuno, quando meditiamo sul grande amore di Dio. Riescono però meno facili nei momenti di malattia e di disgrazia, quando si è vittime di un’ingiustizia, quando si perde una persona cara. In tali circostanze, se pur sommessamente, il nostro pensiero va ugualmente a Dio, nella fiducia che alla fine tutto coopera per il bene di coloro che sono suoi figli.

   Chi è spiritualmente maturo sa rendere grazie a Dio in ogni circostanza della vita, per dolce o amara che sia. Alla moglie che lo invitava sarcasticamente e lasciar perdere Dio, l’afflitto e sofferente Giobbe risponde: “Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?” (Gb 2:10). Con l’aiuto di Dio si perviene alla serenità e alla pace interiore.

   La preghiera può essere anche richiesta di aiuto. Il credente spiritualmente  progredito sa che Dio è infinitamente più buono del miglior padre terreno, il quale non lascia certo mancare il cibo al figlio che glielo chiede: “Chiedete e riceverete. Cercate e troverete. Bussate e la porta vi sarà aperta. Perché, chiunque chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Chi di voi darebbe una pietra al figlio che gli chiede un pane? Chi gli darebbe un serpente se chiede un pesce? Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, a maggior ragione il Padre vostro che è in cielo darà cose buone a quelli che gliele chiedono!”. – Mt 7:7-11, PdS.

   Il credente che ha maturità spirituale compie ogni cosa alla gloria di Dio: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1Cor 10:31). Operare per la gloria di Dio, biblicamente significa riflettere nel nostro agire l’amore e la bontà di Dio, suscitare mediante il nostro agire un ringraziamento a Dio nel riconoscere che solo lui può darci la possibilità di operare così bene. Di certo i credenti mangiano e bevono come tutti gli altri, ma lo fanno mostrandosi sobri e avendo padronanza nel mangiare e nel bere; non vivono per magiare e bere, ma mangiano e bevono per vivere, come Dio ha stabilito. Gustano il cibo e le bevande e ne danno gloria a Dio che ha concesso ciò che ci necessita. Attenendosi a tutto ciò che è buono, giusto, onesto e sobrio, il credente suscita in chi lo vede riconoscenza: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. – Mt 5:16.

   Chi è spiritualmente maturo cerca di seguire la volontà di Dio anche quando gli riesce dolorosa. Essa gli impone sincerità anche quando una bugia potrebbe sottrarlo a una situazione incresciosa. Lo obbliga ad amare anche quando sarebbe portato a vendicarsi di un torto subito. Lo porta a compiere il proprio dovere anche quando gli altri preferiscono riposarsi per comodità. Gli suggerisce di patire qualche torto in vista del trionfo dell’amore: “Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno? Invece siete voi che fate torto e danno; e per giunta a dei fratelli”. – 1Cor 6:7,8.

   Chi è spirituale sente il bisogno di imitare Yeshùa che di fronte agli atroci dolori che lo attendevano al Calvario cadde in ginocchio e pregò Dio intensamente. “Postosi in ginocchio pregava, dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta» … Ed essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra” (Lc 22:41-44). La violentissima emozione di Yeshùa gli provocò sudore misto a sangue. Questo fenomeno, che in medicina è chiamato ematidrosi, è l’effetto di grandi turbamenti psichici. Eppure, nonostante una reazione così violenta, Yeshùa prega: “Non la mia volontà, ma la tua sia fatta”.

   Il cedente, per quanto possa essere spirituale e maturo, continua a ricercare nella Bibbia, che è parola di Dio, gli insegnamenti che gli mostrano la volontà di Dio. Paolo, scrivendo ai credenti di Roma suggeriva di conoscere “per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Rm 12:2). Dove mai trovare questa esperienza pratica di vita se non nella meditazione quotidiana della parola di Dio?

“Quanto amo la tua legge!
La medito tutto il giorno!
Ho sempre presenti i tuoi comandamenti,
mi rendono più saggio dei miei nemici.
So molto di più dei miei maestri,
perché medito i tuoi precetti.
Sono più avveduto degli anziani,
perché osservo i tuoi decreti.
Rifiuto di seguire il sentiero del male,
perché voglio ubbidire alla tua parola.
Non mi allontano dalle tue decisioni,
perché tu mi hai istruito.
Quanto gustose sono le tue parole:
le sento più dolci del miele.
I tuoi decreti mi hanno reso sapiente;
perciò odio la strada del male.
Lampada sui miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino”. – Sl 119:97-105, PdS.

   Il credente che ogni giorno si sofferma nella meditazione della Scrittura, cresce e matura nella sua vita spirituale. La Bibbia non va usata solo per confutare gli errori dottrinali delle religioni, ma soprattutto per correggere le nostre mancanze e per condurci nei meravigliosi pascoli della verità e dell’amore. Il credente fa ogni cosa alla luce della parola di Dio, nella visione soprannaturale: “Abbiamo la parola profetica [resa] più sicura; e voi fate bene prestandole attenzione come a una lampada che risplende in luogo tenebroso, finché spunti il giorno e sorga la stella mattutina, nei vostri cuori”. – 2Pt 1:19, TNM.

   Paolo dice riguardo alle Sacre Scritture: “Possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù” (2Tm 3:15), e subito aggiunge: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”. – Vv. 16,17.

   Il credente che cresce nella vita spirituale non perde mai la sua fiducia, qualunque sia la circostanza in cui venga a trovarsi, perfino nei momenti più bui in cui avesse a peccare. Il credente, rinato in Yeshùa, non dovrebbe più peccare, è vero, ma rimane pur sempre sotto gli attacchi della sua vecchia personalità che, pur sepolta nel battesimo, ogni tanto riaffiora. Anche in caso di colpa, però, non dispera e confida fiducioso in chi è definito suo avvocato: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto”. – 1Gv 2:1.

   Più il credente matura spiritualmente, più si sente pecorella smarrita ricercata da Yeshùa. “Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: ‘Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta’. Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento” (Lc 15:4-7). E tanto più si sente figliol prodigo che il Padre celeste attende nella casa paterna per poterlo riabbracciare. “Il padre disse ai suoi servi: ‘Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato’. E si misero a fare gran festa”. – Lc 15:22-24.

   Il credente maturo è certo che nulla al mondo potrà separarlo dall’amore di Dio. “Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore”. – Rm 8:38,39.