Lo scrittore di Eb torna in modo risoluto all’argomento principale della sua omelia: “Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto”. – Eb 8:1,2.

   Il posto alla sua destra il re lo riservava alla persona più importante dopo di lui. L’immagine è quindi presa dall’etichetta regale, parlando di “destra del trono”, trono regale occupato dalla “Maestà” ovvero da Dio stesso. È lo stesso linguaggio di Sl 110:1, che qui Eb richiama: “Il Signore ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra»”. Già in 1:3 era stato detto che Yeshùa, “dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”.

   Con suggestioni sublimi si fondono insieme diverse immagini: Yeshùa è nella più alta posizione, seduto alla destra del Re celeste; è anche sommo sacerdote in eterno; tutto si svolge nel Tempio celeste, che è il “vero tabernacolo”.

   Dio, la “Maestà nei cieli”, è presentato come Giudice, infatti dice di lui Sl 9:4: “Ti sei assiso sul trono come giusto giudice”. La straordinaria grandezza di Dio lo rende trascendente e inavvicinabile, ma ora c’è Yeshùa che ci permette di accostarci “con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia”. – Eb 4:16.

   Il santuario è descritto come tabernacolo, che era la tenda che costituiva il primo santuario eretto nel deserto. L’immagine della tenda-santuario è semplice eppure grandiosa.


La מִשְׁכַּן (mishkàn), “dimora” di Dio; la אֹהֶל (òhel; greco σκηνή, skenè) “tenda”; il מִקְּדָשׁ (miqdàsh), “santuario”

 

Il tabernacolo, la “tenda di adunanza”, chiamato “tempio di Yhvh” in 1Sam 1:9 e “casa di Yhvh” in 1Sam 1:24, fu eretto nel deserto presso il monte Sinày, con tutti i suoi arredi e utensili (Es 40). Per esplicito ordine di Dio, Mosè istituì allora il sacerdozio.

   Nella concezione ebraica quella tenda che fungeva da santuario era preesistente in cielo presso Dio. Infatti, Dio aveva raccomandato a Mosè: “Vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte” (Es 25:40); “Erigerai il tabernacolo secondo la forma esatta che ti è stata mostrata sul monte” (Es 26:30). Ciò è rammentato anche da Eb 8:5, che spiega: “Essi celebrano un culto che è rappresentazione e ombra delle cose celesti, come Dio disse a Mosè quando questi stava per costruire il tabernacolo: «Guarda», disse, «di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte»”.


   Essendo l’antica tenda solo una copia di quella celeste preesistente in cielo presso Dio, il “vero tabernacolo” (Eb 8:2) è quello celeste in cui siede sul trono la “Maestà nei cieli” e, alla sua destra, Yeshùa glorificato. – Ibidem.

   Ai vv. 3-6 viene contrapposto al cerimoniale del santuario terrestre quello superiore di Yeshùa nel “vero tabernacolo”:

Eb 8:3 Ogni sommo sacerdote è costituito per offrire doni e sacrifici; è perciò necessario che anche questo sommo sacerdote abbia qualcosa da offrire. 4 Ora, se fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono coloro che offrono i doni secondo la legge. 5 Essi celebrano un culto che è rappresentazione e ombra delle cose celesti, come Dio disse a Mosè quando questi stava per costruire il tabernacolo: «Guarda», disse, «di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte». 6 Ora però egli ha ottenuto un ministero tanto superiore quanto migliore è il patto fondato su migliori promesse, del quale egli è mediatore.

   Si noti, tra parentesi, al v. 5 il tempo presente: “Celebrano un culto”. Ciò indica che il culto era ancora celebrato e che quindi Eb fu scritto prima della distruzione del Tempio nell’anno 70. Se la distruzione del Tempio ci fosse già stata, l’autore ne avrebbe tratto di che confermare l’abolizione del sacerdozio. I rabbini avevano interpretato Es 25:40 come indicazione della durata eterna del sacerdozio; anche oggi i giudei hanno dei piani per ripristinare i sacrifici a Gerusalemme. L’autore di Eb interpreta però esattamente al contrario, vedendo nella tenda-santuario e nel relativo culto una modalità provvisoria in quanto τύπος (týpos) ovvero “modello” (Eb 8:5; cfr. Es 25:40, LXX) del vero che è superiore.

Eb 8:7 Se quel primo patto fosse stato senza difetto, non vi sarebbe stato bisogno di sostituirlo con un secondo. 8 Infatti Dio, biasimando il popolo, dice:

«Ecco, i giorni vengono», dice il Signore,

«che io concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda,

un patto nuovo;

9 non come il patto che feci con i loro padri

nel giorno in cui li presi per mano

per farli uscire dal paese d’Egitto;

perché essi non hanno perseverato nel mio patto,

e io, a mia volta, non mi sono curato di loro», dice il Signore.

10 Questo è il patto che farò con la casa d’Israele

dopo quei giorni», dice il Signore:

«io metterò le mie leggi nelle loro menti,

le scriverò sui loro cuori;

e sarò il loro Dio,

ed essi saranno il mio popolo.

11 Nessuno istruirà più il proprio concittadino

e nessuno il proprio fratello, dicendo:

“Conosci il Signore!”

Perché tutti mi conosceranno,

dal più piccolo al più grande di loro.

12 Perché avrò misericordia delle loro iniquità

e non mi ricorderò più dei loro peccati» [cfr. Ger 31:31-34].

13 Dicendo «un nuovo patto», egli ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa antico e invecchia è prossimo a scomparire.

   Questa sezione di Eb è generalmente fraintesa. I detrattori della santa Legge di Dio vi vogliono infatti vedere l’abolizione totale della Toràh, l’Insegnamento di Dio (questo il vero significato di Toràh, תּוֹרָה), tradotto nel greco della LXX con l’infelice parola νόμος (nòmos), “legge”. Eppure, è proprio in questo brano di Eb che viene ribadita la validità della Toràh, che acquista maggiore interiorizzazione nei fedeli perché Dio dice: “Io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori” (v. 10). Eb cita dalla LXX greca (in cui il passo si trova in Ger 38:33), che usa il plurale “leggi” (νόμους, nòmus), ma il passo originale ebraico di Ger 31:33 ha תּוֹרָה (toràh). È la sua santa Toràh che Dio mette nelle menti e scrive sul cuore dei veri credenti.

   Nella lunga citazione di Ger 31:31-34 è Dio stesso a parlare e annuncia una nuova e definitiva alleanza con il suo popolo che riunisce la Casa di Giuda e la Casa di Israele. Il vecchio patto aveva come mediatore Mosè, il nuovo patto ha come mediatore Yeshùa. Non cambia il cosa ma cambia il come. Il cosa, la תּוֹרָה (toràh), è sempre al centro del nuovo patto, ma il come cambia: ora la תּוֹרָה (toràh) viene impressa nella mente e nel cuore.

   Si tratta di un’obbedienza che parte dall’interiorità del credente come risposta a Dio fatta con fede. Gli ebrei avevano invece trasformato l’ubbidienza in un’osservanza legalistica attraverso le cosiddette “opere della Legge”; non ci mettevano il cuore. Per loro l’ubbidienza pedissequa era una richiesta per ottenere la condizione di giusti, con il nuovo patto l’ubbidienza diviene invece una risposta a Dio.

   Con il nuovo patto conta la fede e l’intimo della persona, l’ubbidienza sincera. Il v. 11 va compreso secondo il pensiero biblico: “Nessuno istruirà più il proprio concittadino e nessuno il proprio fratello, dicendo: ‘Conosci il Signore!’ Perché tutti mi conosceranno”. Nella Bibbia la conoscenza non è quella intellettuale degli occidentali. La conoscenza in senso biblico avviene per esperienza; conoscere Dio significa quindi avere con lui un’intima relazione, sperimentarlo nella propria vita. Ciò avviene ubbidendo di cuore e con fede alla sua santa Toràh interiorizzata nel profondo del vero credente.