Eb 10:1 La legge, infatti, possiede solo un’ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio. 2 Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, se coloro che rendono il culto, una volta purificati, avessero sentito la loro coscienza sgravata dai peccati? 3 Invece in quei sacrifici viene rinnovato ogni anno il ricordo dei peccati; 4 perché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati.

   La Legge ha reso possibile una remissione dei peccati solo imperfetta. Ancora una volta l’omileta punta a mostrare la superiorità del sacrificio espiatorio di Yeshùa. Con una logica ferrea egli mostra che i sacrifici animali erano insufficienti. La sua domanda retorica è di grande effetto: “Non si sarebbe forse cessato di offrirli, se coloro che rendono il culto, una volta purificati, avessero sentito la loro coscienza sgravata dai peccati?”. V. 2.

   Molto profonda la considerazione che la Legge “possiede solo un’ombra dei beni futuri” (v. 1), senza tuttavia dire in cosa consistano tali beni futuri. È Yeshùa che ha reso possibile alla Legge di svelare la sua realtà (cfr. Col 2:17). Non si faccia però l’errore di prendere come dispregiativo il commento del predicatore di Eb. Egli non vuole certo avvilire i suoi ascoltatori dicendo che le cerimonie cultuali, per quanto si tenesse duro, fossero inutili e vane. Sono state pur sempre disposizione di Dio e “la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo” (Gal 3:24), ma Yeshùa non venne per abolire la Legge, anzi, per renderla più piena. – Mt 5:17.

Eb 10:5 Ecco perché Cristo, entrando nel mondo, disse:

«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta

ma mi hai preparato un corpo;

6 non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.

7 Allora ho detto: “Ecco, vengo”

(nel rotolo del libro è scritto di me)

“per fare, o Dio, la tua volontà”» [Sl 40:6-8].

8 Dopo aver detto:

«Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte,

né olocausti, né sacrifici per il peccato»

(che sono offerti secondo la legge), 9 aggiunge poi:

«Ecco, vengo per fare la tua volontà».

Così, egli abolisce il primo per stabilire il secondo. 10 In virtù di questa «volontà» noi siamo stati santificati, mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. 11 Mentre ogni sacerdote sta in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire ripetutamente gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, 12 Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio, 13 e aspetta soltanto che i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi. 14 Infatti con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati.

   Dopo aver detto, al v. 4, che “è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati”, l’agiografo né dà la dimostrazione riportando ai vv. 5 e 6 il dialogo tra il messia e Dio di Sl 40:6-8, in cui si presenta come sacerdote consapevole di dare il suo corpo quale sacrificio e offerta. Il testo originale di Sl 40:6 (v. 7 nel Testo Masoretico) dice: אָזְנַיִם כָּרִיתָ לִּי  (asnaym karìyta liy), “orecchi apristi a me” (cfr. Is 50:5). Eb cita però dalla LXX, che ha “mi hai preparato un corpo” (LXXא,A,B), parole che meglio si adattano a Yeshùa quale sommo sacerdote che offre se stesso come sacrificio conclusivo e definitivo.

   La citazione “nel rotolo del libro è scritto di me”, nella citazione di Sl 40:7 fatta da Eb 10:7, potrebbe riferirsi a Gn 3:15 e a Dt 18:15.

   Al v. 8 si noti la citazione da Sl 40:6 fatta al plurale: “Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici per il peccato”. Nel testo ebraico si ha il singolare: “Tu non gradisci né sacrificio offerta”. Anche la LXX (qui in 39:7) ha il singolare: θυσίαν καὶ προσφορὰν (thysìan kài prosfòràn), “sacrificio e offerta”. Volgendo al plurale probabilmente l’omileta intende sottolineare che sono stati aboliti tutti i sacrifici.

   Molto coinvolgente ed efficace il “noi” del v. 10: “Noi siamo stati santificati, mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre”. L’oratore si stacca dalla spiegazione biblica precedente per toccare ora il cuore dei suoi ascoltatori e confortarli con la certezza del perdono dei peccati. Scalda il cuore e rincuora, con un effetto sorprendente, quel meraviglioso “una volta per sempre” alla fine della frase; nel contempo dice tutta la pienezza del sacrificio di Yeshùa che rende definitiva la santificazione: “Infatti con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati”. – V. 14.

   L’oratore vuole rafforzare quanto appena detto, per cui fa di nuovo riferimento alla promessa di Dio:

Eb 10:16 «Questo è il patto che farò con loro

dopo quei giorni», dice il Signore,

«metterò le mie leggi nei loro cuori

e le scriverò nelle loro menti». – Cfr. Ger 31:33; Eb 8:10.

   Eb passa direttamente dalla citazione alla conclusione: “Dopo aver detto [v. 15] . . . egli aggiunge: [v. 16] . . .”, anche se questa resa del testo da parte di NR va corretta e precisata. Intanto, inserire “egli” al v. 16 è tendenzioso perché è lo spirito santo che rende testimonianza (v. 15), ovvero la santa energia di Dio con cui Dio stesso ha ispirato la Scrittura; la trinitaria NR trasforma ciò che al massimo dovrebbe essere un “esso” (in greco lo spirito è perfino neutro e non maschile) in “egli”, dandogli la dignità di persona, cosa che nella Bibbia non è perché lo spirito santo è una forza impersonale. Comunque, la frase “egli aggiunge” non è riportata dai testi critici. Solo i manoscritti Vgmss.Syh(margine) e i manoscritti minuscoli hanno la lezione “dice in seguito”. In ogni caso Eb passa subito dalla citazione alla conclusione: “«Non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità»” (v. 17), citando Ger 31:34 con un libero adattamento per poi commentare: “Ora, dove c’è perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato”. – V. 18.

Eb 10:19 Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, 20 per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, 21 e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, 22 avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23 Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse. 24 Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, 25 non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno.

   Dopo aver trattato in modo profondo la grandezza dell’evento unico e irripetibile del sacrificio di Yeshùa, l’oratore ispirato sprona il suo uditorio a lasciarsi guidare dalla speranza del gran giorno ormai prossimo. Sono solo le grandi verità di fede che possono stimolarci e dare un indirizzo alla nostra vita. Un semplice invito alla perseveranza sarebbe stato solo retorico. L’abile omileta sa che deve essere chiaro il motivo per cui occorre perseverare. Così, ricapitola il senso del ruolo di Yeshùa: “Avendo dunque, fratelli, …” (v. 19). Suggestiva oltre ogni dire la “via nuova e vivente” preparata “per noi attraverso la cortina” (v. 20). Toccante oltre ogni dire la prospettiva audace di poter varcare la cortina dietro cui sta il trono di Dio. Non più una sola persona può varcarla, il sommo sacerdote della rappresentazione terrena della tenda-santuario e Yeshùa nella realtà del tempio celeste. Ora è possibile anche a noi, grazie a Yeshùa.

   Ci sono in questa sezione di Eb tante idee meravigliose in un turbinio che ci esalta: Fiducia, serenità, futuro radioso, gioia, prospettive incredibili, sincerità, fede, buona coscienza, speranza … le promesse di Dio.

   La “via nuova e vivente” invita a essere percorsa, non è qualcosa da ammirare rimanendo fermi in attesa. Non si deve vagare senza meta: “Avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede” (v. 22). I nostri passi devono essere decisi e decisivi. La decisione deve essere interiore, “con cuore sincero”. A differenza dei lavaggi solo esteriori, occorrono “cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica da una cattiva coscienza” (v. 22). Non si dimentichi che nella Bibbia il cuore è la sede dei pensieri; è quindi coinvolta la nostra mente, “quello che è intimo e nascosto nel cuore” (1Pt 3:4), “la persona segreta del cuore”. – Ibidem, TNM.

   “Il corpo lavato con acqua pura” (v. 22) è una metafora. “Vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità” (Ez 36:25); “Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola”. – Ef 5:25,26.

   Ci è richiesta fedeltà “perché fedele è colui che ha fatto le promesse” (v. 23). Stupendo oltre ogni dire. Chi ci chiede fedeltà è fedele per primo. “Fedele è colui che vi chiama”. – 1Ts 5:24.

   Se da una parte c’è la “via nuova e vivente” da percorrere con fiducia fino ad attraversare la cortina e giungere alla presenza di Dio, d’altra parte può esserci il rifiuto di percorrerla e di scadere nell’apostasia. Ciò recherebbe immancabilmente il giudizio:

Eb 10:26 Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati; 27 ma una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà i ribelli. 28 Chi trasgredisce la legge di Mosè viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. 29 Di quale peggior castigo, a vostro parere, sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figlio di Dio e avrà considerato profano il sangue del patto con il quale è stato santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? 30 Noi conosciamo, infatti, colui che ha detto:

«A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione!» [Dt 32:35]

E ancora:

«Il Signore giudicherà il suo popolo» [Dt 32:36].

   Non esistono zone franche. O si è fedeli o non lo si è. L’indifferenza equivale all’infedeltà. Il persistere nel peccato (v. 26) richiama un concetto molto noto nel giudaismo: “La persona che agisce con proposito deliberato, sia nativo del paese o straniero, oltraggia il Signore; quella persona sarà eliminata dal mezzo del suo popolo” (Nm 15:30). Quanto il “peccare volontariamente” sia grave, risalta maggiormente nella circostanza “dopo aver ricevuto la conoscenza della verità”, che ha come tragica conseguenza che “non rimane più alcun sacrificio per i peccati” (v. 26) ma solo “una terribile attesa del giudizio”. – V. 27.

   All’imbocco della “via nuova e vivente” siamo posti di fronte a due vere realtà: percorrere la via fedelmente verso la meravigliosa realtà futura oppure non intraprenderla. Quest’ultima scelta non ci pone in una zona franca e neutrale ma ci lascia nella realtà del peccato e del conseguente giudizio. Chi preferisce percorrere strade diverse verso un futuro oscuro si troverà alla fine nell’angoscia.

   L’immagine del “fuoco che divorerà i ribelli” (v. 27) è allegorica ed efficace, evocando la consumazione di tutto (cfr. Is 26:11). Il moderno popolare proverbio che chi gioca con il fuoco si scotta è di gran lunga superato dall’immagine biblica del “fuoco che non dice mai: «Basta!»” (Pr 30:16). Ai tempi biblici il fuoco era il più completo mezzo di distruzione (Gs 6:24; Dt 13:16). Yeshùa stesso usò questa immagine per indicare il completo annientamento dei malvagi. – Mt 13:40-42,49,50; cfr. Is 66:24; Mt 25:41.

   Davvero “è terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (v. 31). Questa frase così drastica chiude la trattazione del giudizio. Dio, che è santo, è anche giudice, “poiché il Signore, il tuo Dio, è un fuoco che divora, un Dio geloso”. – Dt 4:24.

   Per chi è fedele c’è la promessa incondizionata della vita. È questo il tema con cui si chiude il cap. 10 dell’omelia:

Eb 10:32 Ma ricordatevi di quei primi giorni, in cui, dopo essere stati illuminati, voi avete dovuto sostenere una lotta lunga e dolorosa: 33 talvolta esposti agli oltraggi e alle vessazioni; altre volte facendovi solidali con quelli che erano trattati in questo modo. 34 Infatti, voi simpatizzaste con i carcerati e accettaste con gioia la ruberia dei vostri beni, sapendo di possedere una ricchezza migliore e duratura. 35 Non abbandonate la vostra franchezza che ha una grande ricompensa! 36 Infatti avete bisogno di costanza, affinché, fatta la volontà di Dio, otteniate quello che vi è stato promesso. Perché: 37 «Ancora un brevissimo tempo [Is 26:20] e colui che deve venire verrà e non tarderà [Ab 2:3]; 38 ma il mio giusto per fede vivrà [Ab 2:4]; e se si tira indietro, l’anima mia non lo gradisce [Ab 2:4]». 39 Ora, noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per ottenere la vita.

   L’oratore non poteva non menzionare il pericolo di apostatare, ma ora i pensieri e i sentimenti volgono al positivo. Egli intende incoraggiare, rafforzare, infondere piena fiducia. Lo fa richiamando alla mente i “primi giorni, in cui, dopo essere stati illuminati” (v. 32) i suoi ascoltatori hanno affrontato e superato diverse prove. Sono stati esemplari e ammirevoli, e lui li loda. Non fa elogi generici ma entra nei particolari menzionando le prove che hanno superato (vv. 33,34). Il fatto che l’oratore specifichi “dopo essere stati illuminati” è una grande sottigliezza psicologica: loro sono stati forti e fedeli immediatamente dopo aver accolto la verità. In quel tempo iniziale, quando dovevano aspettarsi solo gioia, dovettero subito affrontare prove dolorose. Ma furono perseveranti perché sapevano di “di possedere una ricchezza migliore e duratura”. – V. 34.

   Giunge al cuore la sincera e commossa esortazione: “Non abbandonate la vostra franchezza che ha una grande ricompensa!”. – V. 35.