“Egli [Dio] vi dichiarava il suo patto, che vi comandò di mettere in pratica, le Dieci Parole” (Dt 4:13, TNM). In altre traduzioni della Bibbia troviamo: “Egli vi annunciò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti” (NR), “I dieci comandamenti” (CEI). L’ebraico ha עֲשֶׂרֶת הַדְּבָרִים  (asèret hadvarìm), “dieci le parole”; così anche la LXX greca che ha δέκα ῥήματα (dèka rèmata) e la Vulgata latina che ha “decem verba”, “dieci parole”. Nel Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia) i Dieci Comandamenti sono chiamati “le Dieci Parole”, i dieci detti. Dt 5:22 li chiama “parole” Dt 5:22) e Es 34:28 li chiama “le parole del patto”. La stessa parola “decalogo” deriva dal greco e significa “dieci parole”: δέκα (dèka) = “dieci” + λόγος (lògos) = “parola”.

   Il Decalogo è stato esaltato, calpestato, ubbidito, violato, modificato, travisato, dichiarato soppresso. Nonostante tutti i tentativi umani di modificarlo (cattolici) o di ritenerlo abolito (Testimoni di Geova), il Decalogo – dopo più di tremila anni – è ancora lì nella Sacra Scrittura quale parola eterna e immutabile di Dio. I cattolici che non hanno dimestichezza con la Bibbia potrebbero rimanere stupiti nel leggere i Dieci Comandamenti originali. Li riportiamo qui nella versione biblica e nella versione catechistica cattolica.

 

I Dieci Comandamenti

Es 20:2-17

Catechismo della Chiesa Cattolica*

1

“Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me. “Io sono il Signore tuo Dio:

1

Non avrai altro Dio fuori di me.

2

Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

2

Non nominare il nome di Dio invano.

3

Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

3

Ricordati di santificare le feste.

4

Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città;  poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.

4

Onora tuo padre e tua madre.

5

Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.

5

Non uccidere.

6

Non uccidere.

6

Non commettere atti impuri.

7

Non commettere adulterio.

7

Non rubare.

8

Non rubare.

8

Non dire falsa testimonianza.

9

Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

9

Non desiderare la donna d’altri.

10

Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo”.

10

Non desiderare la roba d’altri”.

* Catechismo della Chiesa Cattolica – Compendio, Libreria Editrice Vaticana, pagg. 119 e 120

 

   Il secondo Comandamento (che proibisce sculture e immagini cui inchinarsi) è sparito nella versione cattolica; essendo le chiese piene di statue e immagini che sono oggetto di culto, se ne comprende la ragione. Anziché far sparire questi oggetti di culto idolatrico, la Chiesa Cattolica ha preferito far sparire il Comandamento. Dato che i Comandamenti sono dieci e conti devono tornare, il decimo Comandamento (che nella Bibbia è un tutt’uno) è stato diviso in due nel Catechismo.

   Ci piace qui riportare in Decalogo anche nella versione contemporanea che ne ha fatto R. Badenas (tratta dal suo libro Mas allà de la Ley, pag. 81):

 

1

Poiché ti amo e desidero che la nostra relazione duri per sempre, spero che tu non preferisca altri dèi, né guarderai le loro fotografie.

2

3

Sappi che nell’unirti a me assumerai il mio nome. L’amore comporta il rispetto: mi offenderai se lo utilizzi alla leggera.

4

Ricordati che quando sarai molto occupato, io vorrò stare con te. Mettiamo da parte un giorno speciale per vederci e chiamiamolo shabbat che significa tregua, la nostra festa, e ricordiamolo con amore. Durante questo giorno saremo liberi di occuparci dell’essenziale.

5

Circonda d’affetto coloro che ti hanno dato la vita, tuo padre e tua madre. Dal loro amore, fonte di vita, si è perpetuata l’opera della creazione che ti permetterà di giungere fino a me.

6

Le tue radici ti uniscono a tutti gli esseri umani. Proteggi la loro vita perché tutti hanno un valore infinito per me e ogni vita che proviene da me è sacra.

7

Non danneggiare gli affetti, i beni e la reputazione del tuo prossimo neanche con il pensiero. Ricordati che sono tuoi fratelli.

8

9

10

 

   “Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d’Egitto, i figli d’Israele giunsero al deserto del Sinai. Partiti da Refidim, giunsero al deserto del Sinai e si accamparono nel deserto; qui Israele si accampò di fronte al monte. Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte dicendo: ‘Parla così alla casa di Giacobbe e annuncia questo ai figli d’Israele: Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila e vi ho condotti a me. Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d’Israele’” (Es 19:1-6). Mosè sta per ricevere la Toràh, l’Insegnamento di Dio. Il momento è solenne.

   C’è qualcosa, nella traduzione di questo passo biblico, che non va. Il testo originale ebraico, al v. 1, ha un’espressione che i traduttori trascurano e rendono a modo loro: בַּיֹּום הַזֶּה  (bayòm hazèh), letteralmente “nel giorno il questo” ovvero, messo in italiano, “in questo giorno”. CEI traduce: “Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai”. TNM traduce: “Il terzo mese da che i figli d’Israele erano usciti dal paese d’Egitto, lo stesso giorno, giunsero nel deserto del Sinai”. Diodati pure traduce: “Nel primo giorno del terzo mese, da che i figliuoli d’Israele furono usciti del paese di Egitto, in quell’istesso giorno arrivarono nel deserto di Sinai”. Ma l’espressione ebraica “in questo giorno” che fine ha fatto? Forse i traduttori non l’hanno compreso o hanno addirittura pensato a un errore, dato che ci si aspetterebbe di leggere ‘in quel giorno’? Così, hanno preferito correggere la Bibbia, anziché cercare di capire.

   C’è un significato molto profondo nell’interpretazione midrascica di questo particolare. È come se il testo biblico volesse dire: Proprio oggi, in questo giorno, mentre siamo qui a leggere, noi arriviamo al Sinày e riceviamo la Toràh. L’Insegnamento di Dio viene dato oggi, ogni giorno, הַזֶּה  (bayòm hazèh), “in questo giorno”. Dice Sl 95:8: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore”. Ed Eb 3:7,8,  richiamando il passo, ricorda: “Come dice lo Spirito Santo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori”; e poi commenta: “Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore malvagio e incredulo, che vi allontani dal Dio vivente; ma esortatevi a vicenda ogni giorno, finché si può dire: «Oggi», perché nessuno di voi s’indurisca per la seduzione del peccato”. – Vv. 12,13.

   Il momento in cui Dio diede la sua Toràh è un momento supremo che accade anche ora, בַּיֹּום הַזֶּה  (bayòm hazèh), “in questo giorno”. Non si tratta di rievocazione, di commemorazione del passato: è celebrazione di un evento che avviene anche ora. Dio interpella noi, qui, ora.

   Dopo che la Toràh fu consegnata al popolo di’Israele, questo disse: נַעֲשֶׂה וְנִשְׁמָע (naasèh venishmàh), “faremo e ascolteremo” (Es 24:3). Ancora una volta i traduttori non colgono e correggono il testo biblico: “Faremo . . . e ubbidiremo”, “Siamo disposti a fare . . . e a ubbidire” (TNM), “Noi lo faremo e lo eseguiremo” (CEI). Forse i traduttori pensano che non sia tanto logico ‘fare e poi ascoltare’. Di solito, prima si ascolta e poi casomai si fa. Ma il popolo ebraico – che aveva udito “i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante” e che “a tal vista, tremava e stava lontano” e aveva detto a Mosè: “Parla tu con noi e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo” (Es 20:18,18) – aveva capito qual è la cosa giusta: prima occorre ubbidire, poi ci sarà tempo di ascoltare, di leggere, di studiare, di meditare, di capire.

   La trepidazione reverenziale con cui il credente si accosta alla Scrittura (Sl 42:2;63:1) lo spinge a volte a considerare un punto specifico in cui s’imbatte e che lo colpisce, come fosse quello centrale, quasi che ogni altro argomento della Bibbia ruoti attorno a quello. È solo con la lettura e lo studio costante della Scrittura che si comprende che il contenuto della Bibbia è un tutto armonioso. Allo sguardo superficiale del non credente la Sacra Scrittura appare come un racconto piano, semplicistico, quasi infantile; perfino antropomorfico, non sapendo valutare che più di un antropomorfismo di Dio, la Bibbia contiene una divinizzazione dell’uomo. Spesso neppure il principiante negli studi biblici sa comprendere che tutti i particolari, anche più minuti, della Scrittura sono interdipendenti e compongono un tutt’uno. Ciò vale anche per la Legge.

   Così, nessuna parte della Toràh può essere considerata di maggior valore di un’altra. La sapienza di Dio ha disposto ogni cosa in un ordine perfetto. Trascurare un solo punto della Legge significa trascurarla tutta. “Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli” (Mt 5:19). “Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti”. – Gc 2:10.

   La Legge è davvero vissuta solo quando tutte le sue parti sono osservate. Così, il Decalogo non solo fa parte integrante della Legge, ma condensa in sé tutta la Legge contenendone i cardini. Forse molti sanno che tutti precetti della Legge sono in totale 613. Ma pochi sanno che la somma delle lettere che compongono il Decalogo dà esattamente 613. Un caso? Una combinazione? Chissà. “Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio!” (Rm 11:33). Ad ogni lettera del Decalogo corrisponde un precetto. Così, basta togliere una lettera e si deturpa il Decalogo; basta togliere un precetto e si deturpa la Legge. Lo splendore della Toràh da cui emana tutta la luce dell’Insegnamento di Dio che ci illumina trova il suo fulcro nel Decalogo.