I detrattori del sabato le cercano tutte per appigliarsi a qualcosa che li faccia sentire autorizzati a non rispettare la santità del sabato. Uno dei loro bersagli preferiti è Gal 4:9,10:

“Ora che avete conosciuto Dio, o piuttosto che siete stati conosciuti da Dio, come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete rendervi schiavi di nuovo? Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni! Io temo di essermi affaticato invano per voi”.

   In questo passo Paolo esprime tutta la sua frustrazione perché i galati erano tornati a certe pratiche religiose pagane. Egli definisce queste pratiche “deboli e poveri elementi” e dice che i galati volevano “rendersi schiavi di nuovo”. Già il fatto che dica che essi così facendo si rendevano “schiavi di nuovo”, esclude categoricamente che si sia parlando del sabato. Infatti, i galati provenivano dal paganesimo e lì di certo non erano mai stati soggetti all’osservanza del sabato. Inoltre, Paolo abbina ai “giorni” anche “mesi, stagioni e anni”. Conviene analizzare bene il testo paolino.

   I cosiddetti “cristiani” sostengono che i “giorni” di cui parla Paolo sarebbero le Festività di Dio comandate nella Bibbia: Pasqua, Giorni degli Azzimi, Pentecoste, Festa delle Trombe, Giorno delle Espiazioni, Festa delle Capanne, Ultimo Gran Giorno. – Lv 23:4-44.

   I “mesi” farebbero riferimento – sempre a dire di tali “cristiani” – ai Noviluni. – Nm 10:10; Is 66:23.

   Per quanto riguarda le “stagioni” ci si appoggia addirittura sull’errata traduzione di Sl 104:19: “Egli [Dio] ha fatto la luna per stabilire le stagioni”, “stagioni “ che diventano “tempi fissati” per TNM, ma che nella Bibbia sono moadìm  (מֹועֲדִים), la stessa identica parola che si trova in Lv 23:4: “Queste sono le solennità [מֹועֲדֵי  (moadè), forma costrutta di מֹועֲדִים (moadìm)] del Signore”, e che la LXX traduce con la parola greca ἑορταὶ (eortài), “feste / giorni festivi”.

   Gli “anni” sarebbero gli anni sabatici e i Giubilei. – Es 23:11; Lv 25:13.

   Conviene davvero analizzare bene il testo di Gal 4:9,10. Cos’erano i “deboli e poveri elementi” verso cui si rivolgevano “di nuovo” quei galati e che li rendevano “schiavi di nuovo”?

   Ogni volta che stiamo studiando dei passi della Scrittura che sono difficili da capire, dobbiamo sempre considerare il contesto culturale e storico. La Galazia non era una città, ma una regione dell’Asia Minore (oggi Turchia). Questa regione aveva preso il nome dalla tribù celtica dei galati che vi si era stabilita nel 3° secolo a. E. V., provenendo dalla Tracia e, precedentemente ancora, da una zona dell’alto Danubio. La Galazia era nota anche come “la Gallia dell’est” e i suoi abitanti erano chiamati dai romani “galli”. Non avevano quindi alcunché da spartire con gli ebrei. Le congregazioni galate erano senza dubbio composte principalmente da gente proveniente dal paganesimo. Infatti, Paolo dice ai galati: “Io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla” (Gal 5:2; cfr. 6:12,13), chiara indicazione che non erano circoncisi. Erano pagani, prima di diventare discepoli di Yeshùa.

   Confinante a sud con la Galazia, c’era la Licaonia, che faceva parte della provincia romana della Galazia. Qui Paolo aveva scoperto a sue spese come la gente del posto adorava divinità pagane. A Listra (città della Licaonia e della provincia romana della Galazia), Dio aveva guarito un paralitico attraverso Paolo (At 14:8-18) e la gente della zona era così stupita da questo miracolo che suppose che Barnaba e Paolo fossero delle divinità, tanto che li chiamarono Zeus e Hermes (Giove e Mercurio, per i romani – V. 12). Volevano addirittura offrire loro un sacrificio, e l’avrebbero fatto, se gli apostoli non l’avessero impedito (vv. 14,15). Ciò dimostra quanto la gente della Galazia fosse generalmente superstiziosa e come adorasse divinità pagane. Si noti poi che la lettera non è scritta a una congregazione particolare, ma “alle chiese della Galazia” (1:2), quindi a chiese sparse nella regione. Va detto che Paolo usa abitualmente i nomi ufficiali delle province romane, per cui con “Galazia” si riferisce alla provincia romana. Al suo tempo la provincia della Galazia includeva le città di Iconio, Listra e Derbe nella Licaonia meridionale (e perfino Antiochia di Pisidia). In tutte queste città della Licaonia Paolo aveva fatto sorgere congregazioni dei discepoli di Yeshùa, accompagnato da Barnaba. La lettera ai galati era perciò indirizzata alle congregazioni di Iconio, Listra, Derbe (nella Licaonia). La lettera fa menzione di Barnaba che appare ben noto a quelli cui Paolo scriveva (2:1,9,13). Nel resto della Bibbia non troviamo indicazioni che Barnaba fosse conosciuto più a nord della Licaonia, nella Galazia vera e propria, e neppure che Paolo vi fosse mai andato. Stiamo quindi parlando di gente pagana della Licaonia (provincia romana della Galazia) che era divenuta credente. Questo il retroscena.

   Ora, l’obiettivo principale della lettera ai galati fu di far in modo che quei credenti potessero mantenersi saldi nella fede in Yeshùa; se volessimo dirlo con un’espressione moderna: rimetterli in riga o in pista. “Mi meraviglio che così presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Ché poi non c’è un altro vangelo; però ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo” (Gal 1:6,7). Questi “alcuni” che “turbano e vogliono sovvertire” erano falsi maestri che lì insegnavano che si era giustificati facendo opere fisiche di qualche tipo. Esaminando il contenuto della lettera si vede come quei falsi maestri insegnavano un miscuglio di giudaismo e pre-gnosticismo.

   Una delle opere fisiche esaltate dai falsi maestri per ottenere la giustificazione era attinta dal giudaismo: la circoncisione. Paolo ribatte: “Noi Giudei di nascita, non stranieri peccatori, sappiamo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; perché dalle opere della legge nessuno sarà giustificato”. Distinguendosi dagli “stranieri peccatori”, argomenta che se loro (i credenti giudei di nascita) sanno che le opere non giustificano, tanto più dovrebbero capirlo quelli che provengono dagli “stranieri peccatori”. Che la circoncisione non serva alla giustificazione lo argomenta poi in 5:2,3, arrivando a dire al v. 12: “Si facciano pure evirare quelli che vi turbano!”.

   Era dunque la vecchia normativa della circoncisione che era in discussione, non altro della Legge, perché quegli stessi falsi insegnanti non avevano mantenuto la Legge: “Neppure loro, che sono circoncisi, osservano la legge” (Gal 6:13). Evidentemente, i falsi insegnamenti avevano prodotto uno stile di vita licenzioso: “La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro; in modo che non potete fare quello che vorreste. Ma se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge. Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose”. – Gal 5:17-21.

   C’era anche una corrente gnostica (pre-gnosticismo) che turbava i galati. Sebbene lo gnosticismo abbia avuto il suo fulgore nel 2° e 3° secolo, le sue radici affondano in epoca precristiana. Questa filosofia ha attinto alle religioni misteriche, all’astrologia, alla magia, alle filosofie ellenistiche e al giudaismo. La filosofia dello gnosticismo insegna che tutto il male sta nella fisicità e che le persone possono raggiungere una comprensione spirituale superiore attraverso lo sforzo. Questa filosofia sosteneva che il pensiero (γνῶσις, ghnòsis, in greco significa “conoscenza”) può essere utilizzato per aumentare o migliorare la spiritualità. Nella lettera di Paolo ai colossesi leggiamo che questa filosofia aveva influenzato la congregazione: “Perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre dei precetti, quali: Non toccare, non assaggiare, non maneggiare’ (tutte cose destinate a scomparire con l’uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è vero, una parvenza di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore; servono solo a soddisfare la carne”. – Col 2:20-23.

   Contrariamente allo gnosticismo, Paolo dice ai galati che non dovrebbero ascoltare neppure un angelo che eventualmente scendesse dal cielo per insegnare “un vangelo diverso” (1:8). Inoltre, anche se gli gnostici insegnano una severa disciplina del corpo, ciò può a volte portare a uno stile di vita licenzioso. L’idea che nella fisicità, nel corpo (separato dallo spirito, secondo gli gnostici), risieda il male, spesso porta all’atteggiamento di pensare che ciò che si fa con il corpo non fa alcuna differenza.

   Che cosa erano, allora, i “giorni, mesi, stagioni e anni” che Paolo rimproverava ai galati di osservare? In primo luogo, Paolo da nessuna parte nella sua lettera parla dei giorni santi di Dio. In secondo luogo, l’apostolo non si sarebbe mai riferito a santi giorni che Dio ha istituito come a “deboli e poveri elementi”, “deboli e meschine cose elementari” (TNM). Paolo onorava e riveriva la Legge di Dio: “Legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono”, “Sappiamo infatti che la legge è spirituale”, “Ammetto che la legge è buona” (Rm 7:12,14,16). Inoltre, Paolo ha insegnato ai corinzi a osservare la Pasqua e i Giorni del Pane Azzimo: “Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità” (1Cor 5:7,8). Paolo mantenne l’osservanza del sabato e il culto in giorno di sabato: “Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera” (At 16:12). Paolo osservò anche i giorni santi di Dio: “Trascorsi i giorni degli Azzimi, partimmo da Filippi” (At 20:6), “Rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste”. – 1Cor 16:8.

   Quando il passo di Gal 4:9,10 viene messo nel suo contesto, la spiegazione di ciò che quei “giorni, mesi, stagioni e anni” significavano diventa chiara. Nel capitolo 3 della sua lettera Paolo dimostra ai galati che la salvezza attraverso la fede in Cristo è il compimento della promessa fatta ad Abraamo (Gal 3:14-18). Ai versetti 19-25 spiega lo scopo della Legge: “Perché dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni” (v. 19) e aggiunge: “Finché venisse la progenie alla quale era stata fatta la promessa” (v. 19). Egli mostra poi che tutti i credenti, sia giudei sia gentili, sono spiritualmente figli di Abraamo e “eredi secondo la promessa” (versi 26-29). Continua quindi con lo stesso pensiero al capitolo 4. Nei versetti 1-5, Paolo presenta un’analogia in cui paragona l’ebreo a un bambino che sta aspettando di entrare in possesso dell’eredità e il gentile a uno schiavo nella stessa famiglia. Egli spiega come, prima della venuta di Yeshùa, lo stato spirituale dell’ebreo non era diverso da quello del gentile perché ambedue non avevano avuto la remissione dei peccati né avevano ricevuto lo spirito santo di Dio.

“Io dico: finché l’erede è minorenne, non differisce in nulla dal servo, benché sia padrone di tutto; ma è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo; ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione”. – Gal 4:1-5.

   Si noti il v. 3: “Anche noi [eredi e servi, perché “finché l’erede è minorenne, non differisce in nulla dal servo”], quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo”. Prima della venuta di Yeshùa, dice Paolo, ebrei e pagani erano “tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo”.

   La parola “elementi” è nel greco στοιχεῖα (stoichèia), una parola neutra plurale che indica qualsiasi prima cosa (da cui le altre di qualche serie prendono origine), un primo principio. “Tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo” si riferisce al fatto che la mente non convertita è soggetta all’influenza del maligno e dei suoi demòni, “i dominatori di questo mondo di tenebre”, “le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Ef 6:12). Questi governanti maligni al comando di satana, “il principe della potenza dell’aria” (Ef 2:2) sono anche gli autori di tutto il culto idolatrico. Satana e i suoi demòni sono l’origine, la causa del male di questo mondo, e tutti gli esseri umani non convertiti sono sotto il loro dominio. “Rivolgere la mente alla carne significa inimicizia con Dio, poiché [la mente carnale] non è sottoposta alla legge di Dio, né, infatti, può esserlo” (Rm 8:7). Paolo, in pratica, sta dicendo che entrambi, ebrei e gentili, erano in schiavitù del peccato.

   L’apostolo spiega poi ai galati come le loro vite e i loro destini sono stati modificati mediante la loro fede in Cristo:

“Dio mandò suo Figlio . . . per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione. E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: ‘Abbà, Padre’. Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. – Gal 4:4-7.

   Proprio perché anche i pagani sono ora figli (“tu non sei più servo, ma figlio”), Dio ha mandato lo spirito che fa loro gridare: “Abbà”, che era il nomignolo con cui i bambini ebrei chiamavano il loro padre, simile al nostro “babbo”, “papà”. Paolo si riferisce all’analogia che aveva fatto in 4:1 quando aveva detto che “finché l’erede [= giudeo] è minorenne, non differisce in nulla dal servo [= pagano]”. Ora mostra come erede legittimo e servo siano diventati ambedue eredi delle promesse di Dio attraverso la loro fede in Yeshùa e come abbiano così ottenuto da Dio lo spirito santo, loro, i pagani convertiti, esattamente come i giudei che hanno accettato Yeshùa.

   In 4:8 Paolo porta in primo piano il tema dell’idolatria e del paganesimo cui i galati avevano partecipato prima della loro conversione: “In quel tempo, è vero, non avendo conoscenza di Dio, avete servito quelli che per natura non sono dèi”. Questo si riferisce ovviamente al culto di divinità pagane come abbiamo già visto in At 14. Paolo rende evidente che Dio li aveva chiamati fuori da quel modo di vivere. Con questo pensiero in mente, continua al versetto 9: “Ma ora che avete conosciuto Dio, o piuttosto che siete stati conosciuti da Dio, come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete rendervi schiavi di nuovo?”. Chiaramente, la preoccupazione di Paolo era che i galati stessero tornando al modo di vita da cui Dio li aveva chiamati fuori. Come già mostrato, i “deboli e poveri elementi” (“deboli e meschine cose elementari”, TNM) erano le pratiche idolatriche ispirate dai demòni. La parola tradotta “elementi” è qui sempre quella del v. 3: στοιχεῖα (stoichèia). Questa parola fa anche riferimento ai “corpi celesti” che regolano il calendario, indicando gli “elementi, rudimenti, principi primari e fondamentali di qualsiasi scienza” (Vocabolario del Nuovo Testamento). Vanno quindi associati alle feste pagane. L’apostolo condanna le pratiche e lo stile di vita che era stato ispirato da satana e dai suoi demòni, la causa principale del male di tutto il mondo. Paolo si era reso conto che i galati avevano cominciato a tornare alle loro precedenti schiavitù spirituali, le pratiche pagane.

   Ora diventa chiaro ciò cui Paolo fa riferimento al versetto 10: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni!”. Paolo fa riferimento a feste pagane, ricorrenze che quei galati osservavano nella loro idolatria prima della loro conversione. Si stava verificando nelle congregazioni della Galazia ciò che poi si verificò nella cristianità apostata dal 3° secolo: antiche festività e date pagane vennero camuffate da ricorrenze “cristiane” (si pensi, solo per fare un esempio, al Natale, antica festività pagana del dio Sole, ma la lista sarebbe molto lunga).

   Quei “giorni, mesi, stagioni e anni” non potevano assolutamente riferirsi ai giorni santi di Dio perché quelle persone non li avevano mai osservati prima di essere chiamati fuori dal paganesimo. Piuttosto, essi stavano tornando al loro vecchio modo pagano di vita che includeva l’osservanza superstiziosa di certe feste pagane collegate al culto idolatrico di divinità pagane.

   Il dedicarsi dei galati alla vita regolata dagli stoichèia (στοιχεῖα – Gal 4:3,9), gli  “elementi del cosmo”, li faceva ricadere nel culto degli idoli. Era una schiavitù cui ritornavano, un asservimento agli “elementi del cosmo”. Paolo specifica il rinnovato asservimento dei galati agli elementi del cosmo dicendo: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni!”. Poiché i galati erano stati pagani provenienti da tribù celtiche, si deve seguire la traccia che riconduce alla loro precedente religione. È per questa via che si giunge a un risultato. Non solo la loro vecchia religione scandiva il tempo basandosi sui cicli delle stagioni, abbinandovi festività pagane, ma probabilmente quei galati sentivano il fascino dello gnosticismo e dell’influenza di sette giudaiche deviate, come quella degli esseni. Va ricordato che nel 3° secolo a. E. V. i celti erano dilagati fino al Mediterraneo orientale ed avevano costituito un regno di galati nell’attuale Turchia, nella regione che al tempo era la Licaonia (nella provincia romana della Galazia), per cui non sembra irragionevole che i galli (nome con cui i romani chiamavano i celti), alla fine della loro avanzata verso il sud-est del Mediterraneo, si siano spinti fino in  Galilea, dove nel secolo successivo sono attestati gli esseni. Si poté avere così la commistione di elementi ebraici dell’essenismo e del druidismo celtico. Specialmente tra gli apocalittici e gli esseni di Qumràn c’era una vera e propria devozione per il calendario, che stava al centro della loro convinzione di fede religiosa. Si veda, ad esempio, Hen. aeth. (L’apocalisse delle settimane) 82,4.7-10: “Il sole cammina nel cielo entrando e uscendo attraverso le porte per trenta giorni… I luminari, i mesi, le feste, gli anni e i giorni me li ha mostrati e rivelati Uriel, al quale il Signore di tutta la creazione per amor mio ha dato potere sulla schiera del cielo… Questa è la legge delle stelle, che ai loro posti, nei loro tempi, feste e mesi tramontano. Questi sono i nomi dei loro capi, che sorvegliano affinché sorgano nei loro tempi, che le conducono ai loro posti, nei loro ordini, tempi, mesi, periodi di dominio e alle loro stazioni”. Sussiste dunque un’affinità tra la religiosità galata e la religiosità essena basata sul calendario. Paolo respinge radicalmente questa religiosità perché l’osservanza religiosa di “giorni, mesi, stagioni e anni” comportava il culto superstizioso degli astri, proprio perché gli astri determinano il calendario ed erano considerati dèi. Per i galati il passo dagli astri che regolano il calendario agli dèi era molto breve.

   Abbiamo già parlato degli stoichèia (στοιχεῖα) tradotti in Gal 4:3 “elementi [στοιχεῖα (stoichèia)] del mondo”. Facciamo ora notare che Paolo in 4:9 li chiama “deboli e poveri elementi [στοιχεῖα (stoichèia)]”, cioè di scarso valore, abbinandoli agli idoli. Come tutti gli scrittori ispirati delle Scritture Greche, Paolo scriveva in greco ma pensava in ebraico. Ora vogliamo sottolineare come gli idoli siano in ebraico chiamati con una parola che letteralmente significa “cosa senza valore”, “cosa inutile”, “inezia”, “nonnulla”: אליל (elìl).  Questa parola si trova in Lv 19:4: “Non vi rivolgete a dèi senza valore [אֱלִילִים (elilìm); LXX greca: εἰδώλοις (eidòlois). “idoli”]”. – TNM.

   Così vediamo che, lungi dal ritenere abolita l’osservanza dei giorni santi di Dio, la Scrittura mostra che non dovremmo osservare “giorni, mesi, stagioni e anni” che hanno le loro radici nel paganesimo. Per chi desidera rispettare questo ammonimento biblico si tratta valutare come il Natale, la Pasqua della cristianità, S. Valentino e Halloween (solo per citare alcuni “giorni”) abbiano avuto origine dal culto di divinità pagane. La Bibbia stessa ci mette in guardia dal tornare a queste feste non bibliche, se Dio ci ha chiamati a uscire dal paganesimo. La lezione da trarre dai passi biblici che abbiamo esaminato è che Dio ci ha chiamati completamente fuori dalle vie di questo mondo, compresi i costumi e le tradizioni pagane del mondo. Non dovremmo avere nulla a che fare con tali “deboli e poveri elementi”. I giorni veri da osservare sono i santi giorni di Dio comandati nella Scrittura, gli stessi che Yeshùa e gli apostoli osservarono.

Le festività celtiche pagane antiche: “giorni, mesi, stagioni e anni 

  • L’anno del calendario celtico era suddiviso in feste solari e lunari. Le feste solari si basavano sui solstizi e sugli equinozi. Le feste lunari erano anche dette Feste di Fuoco, festeggiate ancora oggi. L’antica festa di Samhain (31 ottobre/1º novembre) era una delle feste più importanti perché segnava la divisione dell’anno in due parti: la metà oscura e la metà luminosa (inverno ed estate). I celti festeggiavano il nuovo anno a Samhain, oggi celebrato come Halloween o festa di Ognissanti. Un’altra festa, detta Oimelc o Imbolc (31 gennaio/1º febbraio), indicava l’allontanamento dell’inverno e caratterizzava un periodo in cui si celebravano poche feste tribali, ad eccezione di quelle femminili, legate alla fertilità. Beltain (vigilia di maggio) coincideva con l’inizio dell’estate e si svolgeva sotto la protezione dello Splendente, cioè il dio pagano Belenos.
  • Halloween.  Molti si stupiranno, forse, di trovare Halloween tra le festività dell’antico paganesimo. La gente del popolo pensa si tratti di una festa americana (statunitense e canadese). In verità, la sua origine è celtica (si rammenti che i galati provenivano da tribù celtiche). Oggi questa festa si celebra la sera del 31 ottobre e viene abbinata alla festività cattolica di Ognissanti (1° novembre). Le sue origini sono antichissime: risalgono a quando le popolazioni tribali usavano dividere l’anno in due parti in base alla transumanza del bestiame. Fra ottobre e novembre, quando sopraggiungeva l’inverno, era necessario ricoverare il bestiame in caravanserragli per garantirgli la sopravvivenza alla stagione fredda. I celti festeggiavano la fine dell’estate con il loro capodanno, che chiamavano Samhain (in antico irlandese samain significa “fine dell’estate”: sam = “estate”, fuin = “fine” – Cfr. Oxford English Dictionary). Alla sera tutti i focolari venivano spenti e poi riaccesi dai sacerdoti celti (druidi) che passavano di casa in casa con torce accese da un falò sacro. I celti attribuivano una dimensione ciclica e circolare al tempo, e Samhain (il loro capodanno) si collocava in un punto al di fuori di tale ciclo temporale: non apparteneva quindi né all’anno vecchio né al nuovo; per cui, loro pensavano che in quel giorno la separazione tra mondo dei morti e mondo dei vivi si riducesse, così che i vivi potevano accedere al mondo dei morti. I celti non avevano paura dei morti, così lasciavano per loro del cibo sulla tavola per accoglierli in visita. È da ciò che è nata l’usanza del trick-or-treat (“dolcetto o scherzetto?”). I celti non credevano neppure nei demoni; credevano nelle fate e negli elfi, creature considerate però pericolose. Pensavano che le fate nutrissero risentimento verso gli esseri umani e che gli elfi fossero pericolosi perché molto diversi dagli umani. Nella notte di Samhain i celti credevano che tali esseri facessero scherzi anche rischiosi. Ecco spiegata la tradizione moderna che fa travestire i bambini da streghe, zombie, fantasmi e vampiri, e che li fa bussare alle porte urlando con tono minaccioso: “Dolcetto o scherzetto?”. Il nome Halloween deriva da “All Hallows Eve”, che significa “Vigilia di Tutti i Santi”.
  • Oimelc. Si tratta di un’antica festa che ricorreva il 1° febbraio, a metà tra il solstizio d’inverno e l’equinozio primaverile. La celebrazione iniziava però al tramonto del giorno prima, perché nel calendario celtico il giorno iniziava al tramonto del sole. Il termine Imbolc (altro nome con qui la festa di Oimelc era conosciuta) in irlandese significa “in grembo”, riferendosi alla gravidanza delle pecore; il termine Oimelc indica il “latte ovino”. I due termini indicano che in origine si trattava di una festa legata alle pecore da latte. È nel periodo della festa che vengono alla luce gli agnellini e le pecore producono latte. Il latte, il formaggio, il burro e il siero di latte costituivano con le code mozzate degli agnelli, il mezzo di sussistenza per anziani e bambini durante le gelate di febbraio. La festa celebrava la luce (allungamento delle giornate), per cui si accendevano lumini e candele. Nella cristianità questa festa fu equiparata alla Candelora. Questa festa pagana era sotto gli auspici della dea Brigit, così venne trasformata nella ricorrenza di Santa Brigida. – J. Markale, C. Fiorillo, G. De Turris, Il druidismo: religione e divinità dei Celti, Edizioni Studio Tesi, 1990, pag. 188; Elena Percivaldi, I Celti: una civiltà europea, Giunti, 2003.