Il fenomeno profetico ebraico, nella sua manifestazione esteriore, non è – come si riteneva decenni addietro – un fenomeno esclusivo di Israele. Il fenomeno profetico si rinviene anche presso altri popoli antichi (basti ricordare Buddha e Maometto). In Israele ebbe una manifestazione più estesa e un contenuto più elevato.

La risposta del profeta stesso

   Quale fu la risposta dei profeti? È bene sentire ciò che gli stessi profeti hanno da dire sul proprio conto. Così potremo meglio comprendere la loro esperienza. Il profeta era perfettamente convinto di essere mosso dallo spirito di Dio. Ma come potevano dire di essere mossi dallo spirito divino? Di quale impulso che li muove, parlano i profeti?

   I profeti si proclamano esplicitamente chiamati da Dio. Quando Amasia, prete di Betel al servizio del re israelitico Geroboamo, vuol congedare Amos invitandolo a tornarsene nel paese di Giuda, il profeta Amos gli risponde: “Il Signore mi prese mentre ero dietro al gregge e mi disse: ‘Va’, profetizza al mio popolo, a Israele’” (Am 7:15). Isaia racconta la visione che inaugura il suo ministero: “Udii la voce del Signore che diceva: ‘Chi manderò? E chi andrà per noi?’. Allora io risposi: ‘Eccomi, manda me!’. Ed egli disse: ‘Va’, e di’ a questo popolo: […]’” (Is 6:8,9). Geremia sente lui pure l’irresistibile appello di Dio: “Tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò” (Ger 1:7). Un giorno, mentre annunciava quale castigo la distruzione della città santa e del suo Tempio, Geremia venne accusato di bestemmia e trascinato davanti al tribunale. Di fronte alla morte afferma solennemente l’origine divina della sua missione: “Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questo tempio e contro questa città tutte le cose che avete udite. Ora, cambiate le vostre vie e le vostre azioni, date ascolto alla voce del Signore, del vostro Dio, e il Signore si pentirà del male che ha pronunziato contro di voi. Quanto a me, eccomi nelle vostre mani; fate di me quello che vi parrà buono e giusto. Soltanto sappiate per certo che, se mi uccidete, mettete del sangue innocente addosso a voi, a questa città e ai suoi abitanti, perché il Signore mi ha veramente mandato da voi per farvi udire tutte queste parole” (Ger 26:12-15). Ezechiele afferma: “Mentre egli mi parlava, lo Spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi; io udii colui che mi parlava”. – Ez 2:2.

   In Israele, il profeta era colui che faceva parte del “consiglio” o riunione di Dio, quello che TNM chiama “intimo gruppo” (Ger 23:22). Si tratta di un’assemblea divina: “Chi ha assistito al consiglio del Signore, chi ha visto, chi ha udito la sua parola?” (v. 18). “Dio non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Am 3:7). È per questo che quando i profeti parlano dicono: “Così dice il Signore”, con la piena consapevolezza che Dio stesso parla per bocca loro, tanto che non di rado invitano l’universo intero ad ascoltare ciò che il Sovrano intende dire: “Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio! Poiché il Signore parla” (Is 1:2), “Porgete orecchio, o cieli, e io parlerò; e ascolti la terra le parole della mia bocca” (Dt 32:1). Il profeta è talmente consapevole di questa sua unione con Dio che spesso parla in prima persona come se la sua personalità svanisse dinanzi alla parola di Dio: “Il Signore degli eserciti l’ha giurato, dicendo: ‘In verità, come io penso, così sarà; come ho deciso, così avverrà’” (Is 14:24); si veda anche il passaggio tra il v. 12 e i v. 13 di Mic 4, in cui è sempre il profeta che parla, ma al v. 13 parla in prima persona con le parole stesse di Dio.

   Importante è pure il silenzio di Dio in certe circostanze. Dopo che i babilonesi avevano distrutto Gerusalemme vi posero come governante Ghedalia, che alcuni fanatici uccisero. Gli ebrei, prevedendo la punizione babilonese, volevano fuggire in Egitto, ma prima interrogarono Dio per mezzo di Geremia. Il bisogno era davvero urgente, da un momento all’altro poteva arrivare la terribile vendetta dei babilonesi. Ma Dio tace. Silenzio. Tace per dieci giorni, e Geremia non ha nulla da dire. Geremia parlerà solo quando Dio gli parlerà (Ger 42:3-7). Ma quando Dio parla non si può resistere. La parola di Dio ha un carattere compulsivo e inarrestabile. Si tratta di una necessità cui non si può sfuggire: “Tu mi hai fatto forza e mi hai vinto”, “Se dico: ‘Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome’, c’è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso” (Ger 20:7,9); “’Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni’. Io risposi: ‘Ahimè, Signore, Dio, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo’. Ma il Signore mi disse: ‘Non dire: Sono un ragazzo, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò” (Ger 1:5-7). “Il leone ruggisce, chi non temerà? Il Signore, Dio, parla, chi non profetizzerà?”. – Am 3:8.

   Il dramma profetico sta proprio nel fatto che spesso la parola profetica è contro la volontà e i desideri del profeta: “Maledetto sia il giorno che io nacqui! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto! […] Perché non sono morto quando ero ancora nel grembo materno?” (Ger 20:14-28, passim). La sofferenza per una missione che non si desidera è acuita dal fatto che la missione stessa appare inutile, come nel caso di Geremia (Ger 6:10). Così il profeta piange (Ger 14:17) e si dispera. – Ger 13:7;20:7,8.

Le interpretazioni dei passi profetici

   Molte ipotesi sono state emesse per cercare di spiegare le affermazioni dei profeti senza doverne ammettere l’intervento di Dio. Vediamo le principali.

   Si tratterebbe di pura finzione. Fu l’opinione che si era diffusa nel 18° secolo e che ora trova ben pochi adepti. P. Garnault (Revue Scientifique, 26 maggio 1900) richiamò addirittura il fenomeno del ventriloquio. Il Renan si richiamò perfino a Numa Pompilio: “Se esistette, fu contemporaneo di Isaia e non si mostrò più scrupoloso nella scelta dei mezzi”; la sua conclusione: “Ciarlatani” (Histoire du peule Hebreu II,184 e III,159). Questa ipotesi è semplicemente assurda, data la santità dei profeti, la loro elevatezza morale, la sincerità della loro fede e dei loro accenti. L’opposizione tra la loro predicazione e le loro aspirazioni, tra i loro insegnamenti e la convinzione della loro inutilità, tra la verità e la sofferenza che ne raccolgono, renderebbe del tutto incomprensibile psicologicamente una loro finzione. Che si potevano attendere dal loro messaggio i profeti? Solo persecuzione e spesso morte. Si ricordi qui l’invettiva di Yeshùa contro i giudei uccisori di profeti: “Voi testimoniate contro voi stessi, di essere figli di coloro che uccisero i profeti” (Mt 23:31). Si rammenti anche la conclusione storica della lettera agli ebrei: “Altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione, per ottenere una risurrezione migliore; altri furono messi alla prova con scherni, frustate, anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era degno), erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra” (Eb 11:35-38). Considerato tutto quello che dovettero patire i profeti, figuriamoci se fingevano. L’ipotesi è quindi semplicemente assurda e ridicola.

   Si tratterebbe d’illusione. Questa l’ipotesi del Dieulafoy (Le roi David), secondo cui i profeti sarebbero stati solo dei nevrastenici e degli psicopatici che si lasciavano illudere dai propri sensi. Per il loro zelo ardente avrebbero scambiato un sogno per realtà, credendo così di ricevere ordini da Dio. Che dire? Di questo tipo di “profeti” il mondo ne ha anche oggi: ogni tanto appaiono nelle cronache dei pazzi religiosi esaltati che proclamano sciagure e un’imminente fine del mondo. Già. Ma le loro previsioni non si avverano mai. Raccolgono folle e folle che plagiano con le loro deliranti proclamazioni e che poi rimangono deluse. Fino alla prossima predizione. E il ciclo ricomincia. Ma che c’entra tutto questo con i profeti di Israele? Essi non raccolsero folle, ma ne furono perseguitati e spesso uccisi. I loro messaggi si avverarono sempre. Essi avevano la certezza, non la supposizione della propria missione. “Così parla il Signore degli eserciti: ‘Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano; essi vi nutrono di cose vane; vi espongono le visioni del proprio cuore, e non ciò che proviene dalla bocca del Signore’” (Ger 23:16). “Voi non avrete più visioni vane e non praticherete più la divinazione; io libererò il mio popolo dalle vostre mani e voi conoscerete che io sono il Signore” (Ez 13:23). Isaia era pronto a dare un segno ad Acaz per comprovare la realtà del suo messaggio (Is 7:11). È impossibile spiegare la lotta implacabile di Geremia contro i suoi avversari se egli non avesse avuto una luce soprannaturale sicura che gli imponeva il dovere di combattere proprio quegli allucinati che ingannavano il suo popolo. Come spiegare con l’allucinazione la durata del carisma profetico che per Geremia durò più di 40 anni? Come spiegare con l’allucinazione il carattere penetrante dei profeti di Israele? Essi non vivevano fuori dalla realtà: gli squilibrati vivono invece in disarmonia psicologica senza un rapporto normale con il mondo esterno. E poi, come spiegare la cessazione improvvisa della profezia nel periodo postesilico, anche durante l’epoca maccabaica in cui se ne sentiva di più il bisogno? Ipotesi quindi sciocca e irrealistica.

   Si sarebbe trattato del riaffiorare del subcosciente. Qui abbiamo un’interpretazione psicologica. Un individuo avrebbe un’idea e, ignorandone l’origine, la attribuirebbe a Dio. A. Sabatier sostiene: “Non era altro che l’ossessione interiore di un grande pensiero e un irresistibile senso del dovere che riempiva il loro animo e la cui origine psicologica sfuggiva alla loro coscienza” (Esquisse d’une philosophie de la religion 4a edizione, pag. 158). A quest’opinione, condivisa da molti altri, si può obiettare quanto segue:

  1. Il carattere misterioso della profezia non si basa solo sulla frase “Dio mi ha parlato”. Queste formule non implicano di per sé una rivelazione propriamente detta. Un buon pensiero potrebbe dirsi, sebbene in modo improprio, voce di Dio. “Dio mi manda per consolarvi” è spesso un’interpretazione probabile di un disegno provvidenziale divino. In che altro modo si potrebbe esprimere una vera chiamata?
  2. Quel che più conta è che i profeti sembrano aver voluto combattere le ipotesi razionalistiche che oggi si vogliono porre. Con i termini più energici il profeta dichiara che la parola di Dio non viene per nulla dal suo spirito. Il profeta ne ha una coscienza chiara e certa. Non si tratta per niente di un’idea sorta come una luce interiore, senza che egli ne sappia il come: egli sa esattamente da dove gli viene l’idea. Sa che è di origine divina. Questo lui lo afferma in modo molto energico contro i falsi profeti. Egli li rimprovera di usurpare un ministero che non appartiene a loro, di non essere inviati da Dio, di dire parole proprie spacciandole per parole di Dio. Ezechiele si erge contro i profeti che profetizzano di testa propria: “Guai ai profeti stolti, che seguono il loro proprio spirito, e parlano di cose che non hanno viste!”, “I loro profeti intonacano per loro tutto questo con malta che non regge: hanno visioni vane, pronosticano loro la menzogna, e dicono: Così parla Dio, il Signore, mentre il Signore non ha parlato affatto” (Ez 13:3;22:28). Geremia denuncia gli impostori: “Il profeta Geremia disse al profeta Anania: ‘Ascolta, Anania! Il Signore non ti ha mandato e tu hai spinto questo popolo a confidare nella menzogna. Perciò, così parla il Signore: Ecco, io ti caccio dalla faccia della terra; quest’anno morirai, perché hai parlato di ribellione contro il Signore’. Il profeta Anania morì quello stesso anno, nel settimo mese”. – Ger 28:15-17; cfr. 23:16-22.
  3. Di più va notato che un’idea ha bisogno di una lunga incubazione per maturare nel subcosciente. Questo è un dato psicologico certo. Nei profeti, invece, spesso manca questo lungo tempo. Quando Davide sognò di costruire un tempio a Dio e poi comunicò questo suo desiderio al profeta Natan, questo gli rispose subito: “Va’, fa’ tutto quello che hai in mente di fare, perché il Signore è con te” (2Sam 7:3). Ma proprio nella notte seguente, improvvisamente, Dio parla al profeta Natan e gli corregge l’idea che ha trasmesso a Davide (vv. 4-16). La profetessa Ulda, consultata d’improvviso, preannuncia la calamità (2Re 22:14-20). Quando Ezechia fu colpito da una malattia mortale, il profeta Isaia si presenta da lui e gli dice in nome di Dio che morirà, ma appena il profeta esce nel cortile la voce di Dio lo rimanda a comunicare la guarigione e la vita per altri 15 anni, dandogli così un oracolo opposto che era stato provocato dalla preghiera del sovrano (2Re 20:1-5). Tutto questo sconfessa categoricamente l’ipotesi dell’incubazione di idee personali del profeta nel suo subcosciente.
  4. Il subcosciente agisce solo in condizioni prive d’inibizioni e di costrizioni. Anche questo è un dato psicologico certo. Ma nei profeti abbiamo di solito condizioni avverse. Mosè vorrebbe ritirarsi e invita Dio a mandare qualcun altro: “Ti prego, Signore, manda il tuo messaggio per mezzo di chi vorrai!” (Es 4:13). Geremia tenta di ritrarsi adducendo la sua debolezza: “Ahimè, Signore, Dio, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo” (Ger 1:6). Il recalcitrare di Baruc è ancora più deciso: “Guai a me! poiché il Signore aggiunge tristezza al mio dolore; io mi consumo tra i gemiti e non trovo riposo” (Ger 45:3). Non ci sono quindi assolutamente le condizioni psicologiche affinché il profeta potesse esprimere ciò che il suo subcosciente avrebbe creato. Ha perfettamente ragione Pietro quando dice che “nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo”. – 2Pt 1:21.

   Si sarebbe trattato di manifestazione estatica. Altra ipotesi è quella della manifestazione estatica. Secondo alcuni critici le profezie rientrerebbero in manifestazioni paranormali estatiche che assorbendo completamente l’individuo gli farebbero perdere il controllo dei sensi esterni e lo farebbero esprimere in modo diverso dal normale. Qui occorre fare una precisazione molto importante. Il paranormale e l’estasi che vi è collegata è qualcosa che la scienza sta studiando. Sebbene gli studi non siano ancora conclusivi, pare ormai sicuro che certi fenomeni avvengano. Non si riesce ancora a spiegarli del tutto, d’altra parte si tratta – appunto – di paranormale ovvero di qualcosa che normale non è. Ma la domanda da farsi è: da dove hanno origine questi fenomeni? I modi e i contenuti di questi fenomeni sono collegati solitamente a pratiche magiche o divinatorie che la Bibbia condanna. La loro origine non è quindi da Dio, ma dalle forze spirituali demoniache opposte a Dio. Anche nelle estasi religiose di “santi” e di “sante”, anche nelle apparizioni di Madonne in varie parti del mondo basta considerare il contenuto dei messaggi per scoprire come esso sia antiscritturale e contrario al volere di Dio. L’ipotesi della manifestazione estatica è quindi molto valida. Ma per i falsi profeti. Già, perché questi esistono. Eccome, se esistono. “Ci furono anche falsi profeti tra il popolo, come ci saranno anche tra di voi falsi dottori che introdurranno occultamente eresie di perdizione, e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, si attireranno addosso una rovina immediata” (2Pt 2:1). Ci sono non solo degli imbroglioni che dicono di parlare in nome di Dio senza averne titolo, ma ci sono anche persone forse in buona fede che sono possedute estaticamente da forze demoniache. Il vero profeta è consapevole di ciò che accade, il posseduto è in balìa di forze spirituali maligne. Nel caso del profeta biblico è da escludere ogni forma di patologia e anormalità. Sempre che non si voglia chiamare patologica e anormale la santità vera.